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Anestesista

Il ramo della medicina che si dedica al controllo del dolore e della cura del soggetto prima, durante e dopo un’operazione chirurgica è denominato anestesiologia.

Di cosa si interessa l'anestesista?

Il ruolo dell’anestesista è quello di prendere decisioni mediche collegate all’effettuazione dell'anestesia utile al momento di un’operazione chirurgica o di una tecnica non chirurgica quale la colonscopia. L’anestesista quindi:

  • si dedica all’equilibrio ed alla sicurezza del soggetto prima, dopo ed al momento di un’operazione
  • effettua l'anestesia
  • prima dell’operazione visita il soggetto, per stabilire la tipologia di anestesia più idonea ed informare il paziente sui rischi e sugli aspetti dell'anestesia che affronterà, fornendo risposte adeguate a dubbi e quesiti
  • è talvolta implicato nella gestione del dolore a seguito dell’intervento, nella rianimazione polmonare e cardiaca, nelle trasfusioni e qualora ci sia bisogno della respirazione assistita.

 

Quali malattie sono maggiormente trattate dall’anestesista?

L'anestesista partecipa a qualsiasi tipologia di operazione chirurgica e non (come una colonscopia) che necessiti di un’anestesia. Egli prende quindi parte alla risoluzione di ogni tipo di malattia o disturbo che presupponga un intervento di questo tipo.

 

Quali sono le metodologie maggiormente usate dall'anestesista?

Nello stadio preoperatorio l'anestesista si occupa del paziente ponendo l’attenzione sulla sua storia clinica, indagando su allergie, patologie, operazioni passate ed ulteriori informazioni anamnestiche necessarie ad acquisire un quadro chiaro della condizione di salute del soggetto.

Durante l’operazione può somministrare:

  •     un sedativo
  •     un'anestesia generale
  •     un'anestesia spinale
  •     un'anestesia epidurale
  •     un'anestesia regionale

 

Quando è utile effettuare una visita dall'anestesista?

La visita dall'anestesista è utile ogni volta che deve essere eseguito un intervento chirurgico o non chirurgico, come una colonscopia o un'endoscopia che necessiti della somministrazione di un anestetico.

Andrologo

 

Il ramo della medicina che esamina l'uomo è denominato Andrologia. Essa è ritenuta la controparte maschile della ginecologia.

 

 

L'andrologo studia i disturbi di salute specificatamente appartenenti all’uomo, con una particolare attenzione ai problemi dell'apparato genitale, che vanno dalle alterazioni alle anomalie, passando per infezioni, tumori e altre patologie.

 

 

Tra i disturbi frequentemente esaminati dall'andrologo si possono citare:

 

    le infezioni genitali maschili

    i tumori ai testicoli

    l'eiaculazione precoce

    il frenulo breve

    l'infertilità maschile

    la disfunzione erettile

    l'ipertrofia prostatica

    il pene piccolo

    il pene curvo

    l'induratio penis plastica

    la fimosi prepuziale

 

 

In un primo momento l’andrologo si impegna ad effettuare un’attenta anamnesi con il paziente, che consiste in un colloquio, al quale seguirà l’esame propriamente detto, osservando non soltanto gli organi genitali ma l’intero corpo, dal viso alle gambe. Solitamente questa visita comprende la palpazione di pene e testicoli, l’analisi dei cosiddetti "polsi penieni", ovvero il flusso sanguigno all’interno dei vasi alla radice del pene, l’esame dei riflessi nervosi genitali e quello della loro sensibilità. Qualora dovesse ritenersi utile, può essere effettuato inoltre un esame della prostata.

Alla fine del controllo l'andrologo può prescrivere degli accertamenti, tra i quali:

 

    esame delle urine

    esami del sangue con dosaggi ormonali

    esame del liquido seminale

    urinocoltura

    test di erezione farmaco-indotta

    ecocolordoppler ai testicoli o ecocolordoppler dinamico del pene

    ecografia prostato-vescicolare trans-rettale

    test regiscan o nocturnal penile tumescence (NPT)

 

Talvolta alla fine del processo diagnostico l'andrologo può suggerire dei medicinali, in altri casi invece propone un metodo chirurgico al fine di curare il disturbo riscontrato.

 

 

Si consiglia un controllo andrologico qualora compaiano sintomi quali accrescimento dei testicoli, dolore o prurito ai genitali, sfoghi o macchie, incurvamento o riduzione del pene, ingrandimento delle mammelle o segnali che facciano pensare all’esistenza di un disturbo prostatico. Lo specialista è utile anche nel caso di traumi ai genitali e quando non si riesce a concepire un figlio. Si consiglia comunque un controllo annuale dopo i cinquant’anni di età.

Anatomopatologo

Il ramo della medicina che esamina le modificazioni macroscopiche e microscopiche causate dai processi morbosi negli organi e nei tessuti del corpo umano è detta anatomia patologica. Essa cerca di risalire, dalle modificazioni rilevate, all'interpretazione dei diversi segni clinici della patologia e a formulare una diagnosi. Ricorre inoltre ad analisi effettuate dopo il decesso per riconoscere o verificare la causa di morte e ad esami di biopsie o di campioni chirurgici per elaborare diagnosi di malattie in corso e identificare pratiche ed opzioni di trattamento chirurgico.

 

L'anatomopatologo è uno specialista in anatomia patologica. Il suo compito è quello di elaborare diagnosi di patologia mediante l'analisi micro e macroscopica dei tessuti. La funzione dell'anatomopatologo è inoltre fondamentale nel settore oncologico, dove l’analisi del campione di tessuto estratto dal soggetto è necessaria per avviare una cura specifica ed idonea.

 

Per quanto riguarda gli esami effettuati dopo la morte e l’autopsia, ovvero due tra i procedimenti più usati dall'anatomopatologo, le malattie maggiormente trattate da questo specialista sono incalcolabili. Per quanto riguarda gli esami effettuati su campioni di tessuto i disturbi maggiormente trattati dall'anatomopatologo comprendono indubbiamente quelli oncologici. Per questa ragione è fondamentale far analizzare il campione prelevato mediante l'esame anatomopatologico per poter individuare il tipo di tumore e determinare una cura idonea e specifica.

 

Le procedure maggiormente impiegate dall'anatomopatologo sono:

  • esami di diagnostica microscopica su cellule esistenti in campioni di materiale di varia natura: secrezioni, liquidi organici, versamenti endocavitari (citodiagnostica);
  • biopsie ed analisi di parti di tessuto estratte durante le operazioni chirurgiche (istopatologia);
  • esami effettuati dopo la morte e autopsie (diagnostica autoptica).

Leucemia mieloide cronica

Quali sono i principali trattamenti per la Leucemia mieloide cronica?

Nella seconda metà degli anni ‘90 sono stati sviluppati alcuni trattamenti innovativi per la leucemia mieloide cronica, che si sono rivelati una vera e propria rivoluzione nella terapia della LMC.

Pazienti in fase cronica

Il trattamento dei pazienti con LMC in fase cronica in quasi tutti i casi determina un ritorno della conta di globuli bianchi e piastrine e delle dimensioni della milza alla normalità. Nei primi 2-3 mesi di terapia i controlli dell’emocromo e degli esami di funzionalità d’organo sono a cadenza almeno bi-settimanale, per poi diluirsi nel tempo ed arrivare ad essere bi-trimestrali.

L’aspirato midollare viene eseguito, oltre che alla diagnosi, a 3 mesi, 6 mesi ed 1 anno dall’inzio della terapia. Successivamente viene effettuato una volta all’anno o su indicazione clinica in caso di risposta clinica non soddisfacente. Ad oggi, tutti i pazienti con diagnosi di LMC in fase cronica vengono trattati in prima linea con Imatinib, il primo farmaco della classe di “inibitori della tirosin-chinasi BCR-ABL” sperimentato con grande successo. A più di 10 anni dalla prima sperimentazione, questo farmaco si è rivelato in grado di controllare la malattia in più dell’80% dei pazienti a 10 anni di distanza e di ottenere una risposta clinica ideale in più del 60% dei casi.

La terapia con Imatinib è ben tollerata anche in pazienti anziani e solo in pochi casi è necessario interrompere la terapia per intolleranza o effetti collaterali. Recentemente sono stati sperimentati altri inibitori di TK (i più importanti sono Nilotinib, Dasatinib e Bosutinib) che si sono dimostrati efficaci anche in coloro che perdevano la risposta a Imatinib. Studiclinici stanno anche paragonando questi nuovi inibitori con Imatinib per stabilire se e in quali pazienti possano sostituirlo come prima linea di terapia A questo proposito è imminente l’indicazione a terapia di prima linea per Nilotinib.

Le terapie precedentemente utilizzate nella cura della LMC (Interferone, Idrossiurea, Busulfano, Aracitina, Omoarringtonina) trovano indicazione solo sporadicamente in pazienti che non rispondono ai nuovi farmaci o in protocolli di ricerca clinica.

Pazienti in fase accelerata/blastica

Pazienti che esordiscono o evolvono in FA o CB hanno una risposta solo transitoria agli inibitori delle TK. Coloro che raggiungono almeno una risposta ematologica devono essere avviati al trapianto allogenico quando praticabile. La chemioterapia può essere una possibile alternativa in alcuni pazienti che non rispondono agli inibitori delle TK o che esordiscono in FA o CB ma la risposta, quando ottenuta, resta solitamente di breve durata.

Risposta al trattamento

Nella cura della LMC è di cruciale importanza definire la risposta al trattamento. I pazienti che hanno un controllo ottimale della malattia nel tempo sono coloro che raggiungono la migliore risposta agli inibitori delle TK. Il grado della risposta influenza anche significativamente le decisioni terapeutiche.

La risposta al trattamento può essere ematologica, citogenetica o molecolare.

I pazienti che ottengono una risposta ematologica completa hanno una normalizzazione dei valori dell’emocromo che denota una sensibile riduzione delle cellule leucemiche circolanti.

I pazienti che ottengono una risposta citogenetica completa hanno una scomparsa delle cellule leucemiche con l’anomalia cromosomica Ph+ e una bassa probabilità di ricaduta della malattia.

I pazienti che ottengono una risposta molecolare completa hanno una completa scomparsa del trascritto BCR-ABL con l’analisi molecolare su campione di midollo osseo o sangue periferico: questa è la miglior risposta possibile e coloro che la ottengono hanno una minima probabilità di ricaduta della malattia.

Trapianto di midollo osseo

I pazienti che non rispondono o perdono la risposta agli inibitori delle TK possono essere candidati al trapianto allogenico di midollo osseo in base alla loro età e alle condizioni cliniche.   Il trapianto allogenico si compone di una prima fase preparatoria (terapia di condizionamento) che si avvale di chemioterapia e/o radioterapia per eliminare parte delle cellule leucemiche, e di una seconda fase in cui vengono reinfuse le cellule staminali ematopoietiche prelevate da un donatore sano. Tramite questa procedura il midollo osseo del paziente viene sostituito con uno nuovo che si origina dalle cellule del donatore.

Il trapianto di cellule staminali allogeniche può considerarsi una forma vera e propria di immunoterapia, dato che cellule del sistema immune del donatore sono capaci di riconoscere ed eliminare le cellule leucemiche del paziente che residuano dopo la terapia di condizionamento.

Il trapianto allogenico è tuttavia una procedura complessa che può essere complicata da infezioni o da una reazione immunitaria delle cellule del donatore contro il soggetto ricevente (malattia trapianto-contro-l’ospite, nota come GvHD dall’inglese Graft-vs-Host Disease).

Prima della scoperta degli inibitori delle TK, il trapianto allogenico costituiva la principale modalità di cura per i pazienti con LMC di età inferiore a 50-55 anni.

Tumore della vescica

Cos'è?

Il tumore della vescica è un tumore maligno che si sviluppa a carico della parete vescicale; origina dall'epitelio di rivestimento ossia dallo strato superficiale di cellule che rivestono internamente la vescica. Le cellule possono svilupparsi all'interno della cavità vescicale (tumore vegetante) o moltiplicarsi infiltrando progressivamente a tutto spessore la parete vescicale (tumore infiltrante il muscolo detrusore). In quest'ultimo caso possono estendersi agli organi adiacenti (metastasi per contiguità) o entrare nel circolo ematico dando localizzazioni secondarie (metastasi a distanza).

Come me ne accorgo?

Il sintomo più comune è l'ematuria ( presenza di sangue nelle urine), la pollachiuria (dover andare spesso ad urinare), l'urgenza minzionale (dover correre con urgenza ad urinare). Sintomi di un tumore vescicale avanzato possono essere il dolore al fianco per ostruzione dell'uretere da infiltrazione del tumore.

Come posso sospettare di avere un tumore alla vescica?

Devo prestare la massima attenzione ai sintomi riferiti soprattutto se sono un fumatore (il fumo di tabacco è responsabile dell'80% dei casi di tumore vescicale accertato) o sono esposto a rischi professionali ( coloranti, lavorazione della gomma,…)

Come posso diagnosticarlo con certezza?

In presenza di sintomi deve essere effettuata una ecografia dell'apparato urinario ed un esame citologico delle urine (ricerca di cellule tumorali di sfaldamento presenti nelle urine); una cistoscopia permetterà di dirimere ogni sospetto. La TC toraco-addominale è utile per evidenziare il grado di invasione parietale, l'infiltrazione degli organi vicini e l'eventuale presenza di metastasi (infonodali – polmonari).

Cosa posso fare per curalo?

L'asportazione radicale del tumore per via trans uretrale (TURB) con l'esame istologico del tessuto asportato è una procedura diagnostica (capisco esattamente il livello di infiltrazione del tumore ed il suo grado di malignità) e terapeutica ( asporto il tessuto tumorale). Il carcinoma vescicale ha la tendenza a recidivare; per questo devo sottopormi a programmati controlli e ad eventuale nuova TURB. In trattamento endovescicale con sostanze chemioterapiche locali (mitomicina, epirubicina,..) o immunostimolanti (BCG) può prevenire l'insorgenza di recidive. In caso di infiltrazione della parete muscolare della vescica o in caso di continue recidive è indicata la cistectomia ( asportazione della vescica). Se possibile viene eseguito il confezionamento di un nuovo serbatoio urinario posizionato al posto della vescica asportata. Questa soluzione chirurgica permette di urinare attraverso l'uretra e continuare ad avere una eccellente qualità di vita. In caso di malattia tumorale localmente avanzata o in presenza di metastasi sarà confezionata una derivazione urinaria esterna con eventuale trattamento chemioterapico complementare.

Tumore del pancreas

La rapidità e l’aggressività della diffusione del carcinoma del pancreas nei tessuti vicini, la sua refrattarietà alla chemioterapia standard e la sua tendenza a recidivare ne fanno uno dei tumori più difficili e impegnativi da trattare. Presso Humanitas, i medici dedicati esclusivamente alla cura del pancreas uniscono le loro competenze allo scopo di elaborare programmi terapeutici completi per le persone affette da questa malattia a tutti gli stadi. Chirurgia, chemioterapia, radioterapia e cure palliative possono essere tutte necessarie. Per molte persone, anche la gestione dei sintomi rappresenta una parte critica del percorso di cura. Le opzioni più appropriate dipendono dalla sede e dall’estensione del tumore, dall’età del paziente, dal suo stato di salute generale e dalle sue preferenze.

Chirurgia

La chirurgia è l’opzione terapeutica più efficace nei casi in cui sia possibile asportare il tumore, ossia quando non sia esteso ai principali vasi sanguigni situati vicino né diffuso al fegato, alla cavità addominale o ai polmoni (ossia non ha dato metastasi a distanza).
Attualmente, soltanto nel 20% circa dei pazienti è possibile asportare chirurgicamente (resezione) il tumore. E, nonostante i miglioramenti a livello di diagnosi, stadiazione, tecniche chirurgiche e cure postoperatorie abbiano permesso di ottenere esiti molto migliori dopo la chirurgia, la resezione pancreatica è tuttora una delle operazioni più difficili e più impegnative sia per il chirurgo che per il paziente.
Numerosi studi hanno dimostrato che i risultati dell’intervento chirurgico sono migliori nei centri dove chirurghi specializzati vantano una specifica esperienza nella chirurgia pancreatica, eseguendo un numero elevato di interventi ogni anno.

Gli interventi di chirurgia pancreatica eseguiti in Humanitas comprendono:

  • Duodenocefalopancreasectomia
    Tale intervento chirurgico è il più comune per il tumore del pancreas. Al fine di garantire l’esito migliore, le migliori evidenze scientifiche raccomandano di sottoporsi a questo tipo di intervento in un centro che tratti un numero elevato di pazienti.
    L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione della “testa” del pancreas (la porzione di pancreas situata accanto al duodeno, il primo tratto dell’intestino tenue). Per fare ciò, il chirurgo deve asportare il duodeno, la cistifellea, la parte terminale del dotto biliare comune e, a volte, una porzione di stomaco. Lo stomaco, il dotto biliare e la porzione rimanente del pancreas sono poi anastomizzati ad un tratto dell’intestino tenue. Una complicanza non infrequente di questo intervento è lo stravaso di succo pancreatico dalle suture. Tale evento si verifica in circa il 15-20% dei pazienti operati, ma nella stragrande maggioranza dei casi non induce a reinterventi chirurgici.
    La perdita di peso è un’altra complicanza frequente dell’intervento di duodenocefalopancreasectomia. In media, i pazienti perdono il 7% circa del loro peso corporeo pre-intervento. Poiché il pancreas contiene le cellule che producono l’insulina, anche il diabete è una potenziale complicanza. Nonostante ciò, la maggior parte dei pazienti con livelli normali di glucosio nel sangue prima dell’intervento non sviluppa il diabete, mentre quelli con un diabete di insorgenza recente addirittura migliorano dopo l’intervento. In generale, benché numerosi pazienti si riprendano molto bene dall’intervento di duodenocefalopancreasectomia, fino a un terzo di loro possono sviluppare complicanze immediate che influiscono sulla loro qualità della vita.
  • Pancreasectomia sinistra
    È l’intervento che permette di asportare la parte del corpo e coda del pancreas, spesso insieme alla milza. Viene effettuato spesso per neoplasie cistiche ed endocrine. Nel caso di tumori benigni, generalmente la milza non viene asportata.
    È l’intervento chirurgico sul pancreas che maggiormente si avvale della tecnica mini-invasiva.
  • Pancreatectomia centrale
    In casi selezionati, i chirurghi di Humanitas eseguono un intervento ad alta specializzazione chiamato pancreatectomia centrale, che consiste nell’asportazione della porzione centrale o corpo del pancreas, conservando però entrambe le estremità (la testa e la coda). Si tratta di una procedura generalmente impiegata per i tumori benigni a uno stadio iniziale localizzati nel collo del pancreas, un’area difficile da trattare senza asportare una larga porzione della ghiandola. Conservando più pancreas, e quindi più cellule che producono l’insulina e gli enzimi digestivi, la pancreatectomia centrale riduce il rischio di diabete e di gravi disturbi digestivi.
  • Altre procedure chirurgiche
    I chirurghi di Humanitas propongono altre opzioni per il trattamento dei tumori del pancreas, tra cui la pancreatectomia totale, che consiste nell’asportazione di tutto il pancreas insieme alla cistifellea, una porzione di stomaco e di intestino tenue, il dotto biliare, la milza e i linfonodi regionali. Viene eseguita in caso di tumori multifocali o comunque diffusi a tutto l’organo.
    In caso di tumori benigni di piccole dimensioni, quali ad esempio gli insulinomi, viene eseguita la semplice enucleazione del nodulo tumorale, risparmiando il tessuto pancreatico sano circostante.
  • Chirurgia mini-invasiva
    In casi selezionati, è possibile eseguire l’intervento mediante una procedura (laparoscopica) mini-invasiva. Si tratta di una tecnica che richiede grandi abilità poiché l’intervento viene eseguito attraverso alcune piccole incisioni. I chirurghi di Humanitas hanno una buona esperienza negli interventi condotti per via laparoscopica, che può offrire al paziente vantaggi importanti, ad esempio meno perdite di sangue, degenza ospedaliera più breve, ritorno più rapido all’attività normale e rischio ridotto di complicanze.

Radioterapia

I pazienti in cui non è indicato l’intervento chirurgico, la maggior parte delle volte a causa dell'estensione della malattia già avanzata alla diagnosi, sono candidabili a trattamento radiante più o meno concomitante a chemioterapia.
L'intento della radioterapia è ridurre il più possibile l'estensione locale della malattia anche a scopo sintomatico, in caso di disturbi correlati al coinvolgimento e all'infiltrazione degli organi vicini.
In Humanitas viene utilizzata una nuova metodica radioterapica, a modulazione d'intensità (IMRT), che permette la somministrazione di dosi più elevate con minori effetti collaterali, i cui risultati sembrano essere promettenti.

Chemioterapia

La chemioterapia viene utilizzata per il trattamento dei tumori del pancreas in diverse fasi della malattia. Il farmaco cardine nel trattamento di questi tumori è rappresentato dalla gemcitabina, che può essere somministrata da sola o in associazione ad altri farmaci. Nelle forme localmente avanzate, cioè non trattabili chirurgicamente ma senza metastasi in altri organi, la chemioterapia viene impiegata per ridurre le dimensioni del tumore con l'obiettivo di renderlo operabile. Anche nei tumori operabili, talvolta, può essere indicato un trattamento chemioterapico pre-operatorio per eliminare le cellule tumorali che potrebbero essersi diffuse al di fuori del pancreas.
Dopo l’intervento chirurgico la chemioterapia viene generalmente impiegata per ridurre il rischio di una recidiva della malattia e in alcuni casi può essere impiegata in associazione alla radioterapia. Infine, la chemioterapia viene somministrata nelle fasi avanzate, in presenza di metastasi in altri organi, per rallentare l’evoluzione della malattia. I risultati ottenibili con la chemioterapia sono però limitati e pertanto gli oncologi di Humanitas partecipano a protocolli di ricerca clinica volti a identificare nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche.

Linfoma di Hodgkin

Quali sono le terapie per il linfoma di Hodgkin?

Le opzioni terapeutiche per il linfoma di Hodgkin dipendono principalmente dallo stadio della malattia al momento della diagnosi. Altrettanto importanti sono il numero e le stazioni di linfonodi intaccati e il coinvolgimento di uno o di entrambi i lati del diaframma. Altri fattori comprendono l’età del paziente, i sintomi e lo stato di salute generale. La maggior parte delle persone trattate per linfoma di Hodgkin vanno incontro ad una remissione completa della malattia. I protocolli di ricerca clinica possono rappresentare un’opzione nei casi in cui le terapie standard si dimostrano inefficaci.

  • Malattia in stadio iniziale (I-II)
    Il paziente con linfoma di Hodgkin circoscritto a una o più aree dallo stesso lato del diaframma, viene sottoposto a una chemioterapia di breve durata (da 2 a 4 cicli) e successivamente a radioterapia con irradiazione dei linfonodi colpiti dalla malattia all’esordio. La radioterapia può in casi molto selezionati essere utilizzata da sola nei casi in cui il paziente presenti delle controindicazioni assolute alla chemioterapia. La radioterapia può aumentare il rischio di altre forme di tumori, ad esempio del seno o del polmone. Per le adolescenti e le donne sotto i 30 anni di età, questo rischio è considerato troppo elevato: anche per questo motivo oggi la radioterapia viene somministrata a basse dosi.
  • Malattia in stadio avanzato (III-IV)
    Il paziente con malattia estesa ad altri distretti linfonodali o ad altri organi è trattato con la chemioterapia, utilizzata anche in caso di recidiva dopo la radioterapia. Dopo la chemioterapia, generalmente 6 cicli, il paziente che all’esordio aveva localizzazioni di malattia di grosse dimensioni (>10 cm) riceve su quelle sedi un ciclo di radioterapia. Negli ultimi anni si è visto che il risultato della PET dopo i primi due cicli di trattamento è particolarmente importante nel predire la prognosi del paziente e l’eventuale rischio di recidiva.
  • Recidiva
    In caso di linfoma di Hodgkin recidivante dopo la chemioterapia iniziale, viene proposta al paziente l’opzione della chemioterapia in dosi elevate con trapianto di cellule staminali. Poiché dosi elevate di chemioterapia distruggono il midollo osseo, prima si procede al prelievo e al congelamento di cellule staminali emopoietiche dal sangue periferico del paziente stesso. Una volta completata la chemioterapia, le cellule vengono reinfuse al paziente. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.
  • Protocolli di ricerca clinica
    La terapia standard di prima linea o di salvataggio è inefficace nel 15% circa dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. Per questi pazienti esiste l’opzione di partecipare a un protocollo di ricerca clinica che prevede l’utilizzo controllato di nuove terapie non ancora approvate ufficialmente.
    I protocolli di ricerca clinica hanno lo scopo di determinare la sicurezza e l’efficacia di una terapia: possono non rappresentare una cura, ma prolungare la vita o migliorarne la qualità. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o terapie biologiche, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio emato-oncologo di fiducia.

Tumori carcinoidi gastrointestinali

Esistono diverse possibilità terapeutiche per i pazienti affetti da tumore neuroendocrino gastrointestinale, che comprendono chirurgia, terapie loco-regionali, bioterapie, chemioterapia, trattamenti con radio farmaci (radiorecettoriali).

Chirurgia

L’asportazione chirurgica del tumore rappresenta sempre il trattamento di prima scelta. I tumori localizzati (non estesi ad altri organi) possono essere asportati unitamente ad una porzione di tessuto sano circostante. In base alla localizzazione del tumore ed alla sua estensione, può essere necessario asportare porzioni più o meno estese dell’organo coinvolto e dei linfonodi circostanti. Questi interventi possono essere eseguititalora per via laparoscopica: l’approccio mini-invasivo è in grado di ridurre il dolore e la durata della degenza postoperatoria. 
In alcuni casi non è possibile ottenere l’asportazione completa del tumore: può essere comunque indicata una rimozione parziale (debulking), ad esempio allo scopo di migliorare la sintomatologia.

Endoscopia

In caso di tumore neuroendocrino ben differenziato di piccole dimensioni che sporge all’interno della cavità dello stomaco o dell’intestino, a volte l’asportazione può essere effettuata per via endoscopica.

Terapie loco-regionali a livello epatico

Quando i tumori neuroendocrini gastrointestinali sono diffusi (metastatici) anche al fegato, è possibile eseguire (in alternativa o in associazione all’asportazione chirurgica) trattamenti locali quali embolizzazioneo radiofrequenza. L’embolizzazione consiste nell’iniettare (utilizzando sottili cateteri) delle particelle all’interno dei vasi sanguigni del fegato, per bloccare il flusso sanguigno alla porzione di fegato dove è localizzato il tumore, togliendo così ad esso ossigeno e nutrienti. La radiofrequenza consiste nell’introdurre all’interno del fegato, sotto guida ecografica, sonde che generano calore e distruggono le metastasi.

Bioterapie

I pazienti in cui non si può rimuovere chirurgicamente il tumore possono essere trattati con iniezioni mensili di un ormone sintetico analogo della somatostatina (octreotide o lanreotide). Questa terapia è in grado di migliorare i sintomi e di rallentare la crescita del tumore. Un’alternativa è rappresentatadall’utilizzo di interferone, una sostanza in grado di aumentare la risposta immunitaria. Più recentemente hanno inoltre dimostrato la loro utilità due nuovi farmaci, il sunitinib e l’everolimus, in grado di interferire selettivamente sui meccanismi che consentono al tumore di crescere e dare metastasi.

Chemioterapia

È solitamente riservata ai casi in cui tutte le alternative terapeutiche sopra elencate sono state attuate/valutate e hanno dimostrato la loro inefficacia.

Terapia radiometabolica

L’elevata densità di recettori per la somatostatina sulla superficie dei tumori neuroendocrini costituisce il presupposto per la terapia radiorecettoriale. Si utilizza un farmaco analogo della somatostatina (dotato quindi di affinità per i recettori presenti in abbondanza sulle cellule tumorali) marcato da una porzione radioattiva (Ittrio o Lutezio). Il radiofarmaco che viene iniettato per via endovenosa è dunque in grado di riconoscere il proprio “bersaglio” grazie al legame dell’analogo della somatostatina ai recettori presenti sulle neoplasie. La porzione radioattiva agisce dunque in modo mirato, nei confronti cioè di quelle cellule tumorali su cui il radiofarmaco si è legato.

Tumore dello stomaco

L’asportazione chirurgica di parte o di tutto lo stomaco rimane l’opzione terapeutica principale. L’entità dell’asportazione chirurgica è in funzione dell’estensione della malattia.

Endoscopia

Nelle forme più iniziali, dove la neoplasia si limita agli strati più interni della parete gastrica (mucosa ed iniziale strato della sottomucosa) e non sono riconoscibili linfonodi malati, l’esperienza giapponese (dove questi casi sono assai frequenti) ha dimostrato che l’asportazione endoscopica della lesione è sicura e curativa.

Chirurgia

L’indicazione standard nei carcinomi invasivi (che in Italia sono la maggioranza) è la rimozione di 2/3 dello stomaco (gastrectomia subtotale) o di tutto l’organo (gastrectomia totale). L’entità della rimozione chirurgica dipende dalla sede della neoplasia: se questa è situata nelle porzioni finali dello stomaco non è necessario rimuoverlo tutto, mentre se è situata nelle porzioni più vicine al cardias deve essere eseguita la gastrectomia totale: è infatti opportuno rimuovere sempre un ampio margine di tessuto sano per evitare che la neoplasia possa riformarsi localmente.
Parte integrante del trattamento chirurgico è l’asportazione dei linfonodi regionali, che in percentuale assai elevata possono essere sede di malattia. I tessuti prelevati vengono esaminati dall’anatomopatologo che, attraverso l’esame istologico, è in grado di valutare con precisione l’estensione del tumore nell’organo e nei linfonodi regionali, e la sua aggressività biologica.

In casi selezionati in Humanitas, grazie alla notevole esperienza in tecniche mini-invasive avanzate, l’intervento può essere condotto con un approccio laparoscopico che permette di eseguire le medesime manovre chirurgiche attraverso piccole cannule introdotte nell’addome, evitando così grandi incisioni. Questo approccio permette di ottenere nei pazienti idonei gli stessi risultati oncologici dell’approccio tradizionale a fronte di un recupero più rapido e complicanze ridotte, ed è ormai divenuto uno standard nei Paesi orientali (Giappone, Corea e Cina), dove la malattia in stadio precoce è molto più frequente che in Europa.

Chemioterapia

Nelle situazioni in cui il tumore appare localmente molto esteso e giudicato non asportabile completamente, la chemioterapia (neoadiuvante) può essere attuata con la finalità di ridurre la neoplasia e renderla asportabile con criteri di radicalità. 
La chemioterapia viene utilizzata come trattamento precauzionale dopo chirurgia laddove l’esame istologico abbia individuato dei fattori di rischio per la ricomparsa del tumore.
È infine il trattamento principale quando siano già state accertate metastasi a distanza.

Radioterapia

Ha indicazione quando la chirurgia non è stata completa in alcune parti del letto gastrico e sono quindi presenti residui tumorali. 
Può anche essere considerata come trattamento precauzionale dopo chirurgia radicale. 
In Humanitas, l’utilizzo di una specifica ed innovativa metodica, la radioterapia sterotassica (SBRT), permette di somministrare alte dosi di radiazioni al tumore con risparmio degli organi sani vicini, in poche sedute di trattamento. La terapia non è invasiva e non richiede anestesia, generalmente viene eseguita in regime ambulatoriale e non provoca dolore.

Trattamenti palliativi

  • Posizionamento di endoprotesi: quando il tumore non è operabile e causa un’ostruzione dello stomaco o del duodeno si può inserire un tubo (endoprotesi) che allarga il restringimento consentendo il transito degli alimenti.
    Tale intervento viene eseguito per via endoscopica e può ottenere un significativo miglioramento dei sintomi.
  • Chirugia: nel caso di stenosi (restringimento) non trattabile endoscopicamente o di tumore sanguinante può essere proposta (di caso in caso e sempre dopo valutazione multidisciplinare) l’attuazione di una chirurgia palliativa che consiste sia nell’asportazione parziale o totale dello stomaco sia nel collegamento tra lo stomaco e l’intestino tenue (by pass gastro-digiunale).

Tumore dell’esofago

Nell’ultimo decennio, sono stati fatti progressi enormi nel trattamento del tumore dell’esofago. Humanitas offre un programma multidisciplinare di trattamento estremamente completo che sfrutta al massimo le terapie più recenti. Il paziente e i suoi familiari sono attivamente coinvolti in tutte le decisioni terapeutiche e collaborano con un’equipe integrata di specialisti esperti in ogni aspetto della cura del tumore.

Terapie endoscopiche

Presso Humanitas il tumore dell’esofago in uno stadio iniziale è spesso trattato con le terapie endoscopiche che permettono di conservare l’integrità anatomica dell’esofago, comportano un trauma minimo e presentano un rischio basso di complicanze. Gli specialisti di Humanitas offrono trattamenti endoscopici avanzati e li personalizzano con estrema precisione allo scopo di soddisfare i bisogni di ogni singolo paziente. Humanitas è stato uno dei primi centri in Europa d utilizzare la resezione endoscopica della mucosa per diagnosticare e trattare sia il tumore primitivo dell’esofago sia l’esofago di Barrett. La mucosectomia endoscopica permette di asportare integralmente il tratto di mucosa e sottomucosa esofagea interessato dalle lesioni più superficiali.

A fronte di un alto numero di casi trattati Humanitas vanta tassi bassi di complicanze correlate alla mucosectomia endoscopica, in linea con le migliori casistiche mondiali. Alla mucosectomia endoscopica viene normalmente associata l’ablazione con radiofrequenza per il trattamento del circostante esofago di Barret in fase preneoplastica: è una procedura ambulatoriale, ed il paziente può solitamente tornare all’attività normale il giorno successivo, anche se potrebbe avere dolore toracico e difficoltà di deglutizione per una settimana circa. L’endoscopia svolge anche un ruolo importante anche nel ripristinare temporaneamente la canalizzazione dell’esofago e consentire ai pazienti di alimentarsi mediante posizionamento di endoprotesi: si tratta di procedure impiegate in casi selezionati.

Chirurgia

La chirurgia di asportazione dell’esofago (esofagectomia) è il cardine fondamentale della terapia del cancro dell’esofago: a volte è la sola terapia eseguita ma più spesso è associata a chemio e radioterapia a seconda dello stadio clinico della malattia, come parte di un trattamento integrato. Nel corso di questo intervento, il chirurgo asporta generalmente tutto o parte dell’esofago e la porzione superiore dello stomaco in blocco con le linfoghiandole circostanti, ricostituendo poi la continuità dell’apparato digerente mediante l’interposizione di un viscere, generalmente la porzione restante di stomaco o un tratto di intestino. Questo intervento coinvolge sempre almeno due (talvolta tre) distretti corporei – collo, torace e addome – ed è per questo complesso e delicato; in Humanitas viene eseguito sia con tecniche tradizionali a cielo aperto sia con tecniche mini-invasive (laparoscopia, toracoscopia). L’approccio mini-invasivo è meno traumatico per l’organismo in quanto le manovre chirurgiche vengono condotte attraverso delle piccolissime incisioni in cui sono posizionate cannule che permettono il passaggio di strumenti molto sottili manovrati dall’esterno. Solitamente l’esofagectomia mini-invasiva necessita di una degenza ospedaliera più breve, comporta meno dolore postoperatorio ed è seguita da una ripresa più rapida del paziente. L’esofagectomia mini-invasiva ha risultati clinici ed oncologici eccellenti se effettuata da chirurghi esperti.

Chemio-radioterapia

A seconda dell’estensione del tumore, definita come stadio clinico preoperatorio o stadiazione patologica e quindi postoperatoria, i medici di Humanitas possono raccomandare la radioterapia in combinazione con la chemioterapia (chemio-radioterapia). Queste terapie possono quindi essere eseguite prima (neo-adiuvanti) o dopo (adiuvanti) l’intervento chirurgico, con l’intento di migliorare i risultati ottenibili con la sola chirurgia.

Nelle fasi più avanzate della malattia, non suscettibili di intervento chirurgico, la chemioterapia e la radioterapia possono essere impiegate da sole o in associazione come trattamento definitivo per il paziente. In Humanitas sono attivi i protocolli di trattamento più comunemente utilizzati nei centri di riferimento mondiali.

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