Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

 

L’Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina è un trattamento delle patologie retiniche mediante iniezione intraoculare di farmaco.

Da alcuni anni è entrata nella pratica clinica dell’oculista la terapia di patologie retiniche mediante iniezione del farmaco direttamente all’interno dell’occhio. Questo nuovo approccio terapeutico ha permesso di migliorare la prognosi di diverse patologie retiniche riducendo la percentuale di peggioramenti visivi.

 

Che cos’è l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

I farmaci attualmente approvati ed utilizzati per uso intraoculare sono farmaci anti-VEGF (inibitori della formazione di nuovi vasi sanguigni) e cortisonici. I primi (anti-VEGF) sono utilizzati nel trattamento della degenerazione maculare senile essudativa, nell’edema maculare diabetico e nell’edema maculare secondario a trombosi dei vasi retinici.

I secondi (cortisonici) sono approvati ed utilizzati per il trattamento dell’edema maculare secondario ad una trombosi dei vasi retinici e per patologie infiammatorie dell’occhio (ad esempio l’uveite).

 

Come funziona l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

L’iniezione viene eseguita in ambiente controllato (sala operatoria) in condizioni di sterilità e in regime ambulatoriale. Il paziente quindi, una vola eseguita l’iniezione, può tornare a casa accompagnato dai familiari. L’iniezione è eseguita con anestesia topica, cioè mediante istillazione di colliri anestetici. La terapia post iniezione è a base di colliri. Il primo controllo è eseguito in ambulatorio il giorno successivo. A distanza di circa 2-3 settimane, e in base ai casi, sarà eseguito il controllo successivo.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Il trattamento con farmaci intraoculari ha dimostrato una buona efficacia nel trattamento di diverse patologie retiniche come la degenerazione maculare senile essudativa, un edema maculare secondario a retinopatia diabetica e a trombosi venosa.  Gli effetti indesiderati riportati di tali trattamenti sono rari e tra questi ricordiamo: aumento della pressione intraoculare, mal di testa, vitreite (infiammazione dell’occhio), distacco di vitreo, emorragia retinica (sanguinamento della parte posteriore dell’occhio), disturbi visivi, dolore oculare, mosche volanti (macchie nel campo visivo), emorragia congiuntivale (sanguinamento nella porzione anteriore dell’occhio), irritazione oculare, sensazione di avere un corpo estraneo nell’occhio, aumento della lacrimazione, blefarite (infiammazione delle palpebre), secchezza oculare, iperemia oculare (arrossamento), prurito oculare, artralgia (dolore articolare) e naso faringite (infiammazione del naso e della gola) etc. Raramente possono osservarsi più’ gravi complicanze quali: endoftalmite (infezione del globo oculare), infiammazione oculare grave, lesione alla retina e cataratta. La complicanza sistemica più’ temibile e’ la tromboembolia.

 

L’iniezione intravitreale di farmaco è dolorosa?

 

La durata dell’iniezione è circa un minuto, la sensazione avvertita dal paziente è minima e della durata di pochi secondi.

 

Quali pazienti possono effettuare l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Non esistono controindicazioni assolute alle iniezioni intravitreali per patologie sistemiche.

Esistono diversi profili di rischio soprattutto per pazienti cardiopatici e vasculopatici o per allergie accertare ai farmaci contenuti all’interno di questi medicamenti.

 

Sono previste norme di preparazione al trattamento?

 

L’intervento è effettuato in posizione supina, in un ambiente chirurgico sterile (sala operatoria), con l’ausilio da parte dell’operatore del microscopio. L’atto chirurgico si articola in diverse fasi:

 

-disinfezione della cute perioculare e del sacco congiuntivale

-iniezione intravitreale a 3.5/4.0 mm dal limbus per via transcongiuntivale

-controllo intraoperatorio del tono oculare ed eventuale paracentesi evacuativa dalla camera anteriore

 

 

Dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico verranno fornite dal medico le indicazioni a cui attenersi adatte al caso di ogni singolo paziente.

 

Follow up

 

I controlli successivi alle iniezioni intravitreali sono cardine della terapia stessa. Devono essere effettuati nei tempi e nei modi suggeriti dall’oculista per garantire la giusta efficacia terapeutica.

 

Insufficienza aortica

Insufficienza aortica

 

L’insufficienza aortica è la conseguenza di un difetto di chiusura della valvola aortica, la valvola cardiaca che regola il flusso del sangue dal ventricolo sinistro all’aorta. Quando si verifica questa condizione, una parte del sangue refluisce nel ventricolo sinistro, non permettendo un pompaggio efficiente verso il resto dell’organismo.

Che cos’è l’insufficienza aortica?

Quando la valvola aortica non riesce a chiudersi correttamente parte del sangue pompato dal ventricolo sinistro ritorna indietro. Da ciò ne consegue la presenza di sintomi come affaticamento e fiato corto, ma si possono anche verificare delle condizioni più gravi, come l’endocardite o lo scompenso cardiaco. Solitamente, però, l’insufficienza aortica viene ben tollerata e i sintomi possono anche manifestarsi dopo decenni. Se invece, come a volte capita (per esempio in conseguenza di un’endocardite), compare improvvisamente un’insufficienza aortica grave, si manifestano fin da subito sintomi di uno scompenso cardiaco.

Da cosa può essere causata l’insufficienza aortica?

L’insufficienza aortica può essere determinata da qualunque disturbo che possa danneggiare la valvola aortica. Tra questi sono compresi le cardiopatie congenite, l’invecchiamento, l’endocardite, la dilatazione dell’aorta ascendente, la malattia reumatica, la sindrome di Marfan, la spondilite anchilosante, la sifilide e traumi all’aorta.

Con quali sintomi si manifesta l’insufficienza aortica?

In gran parte dei casi l’insufficienza aortica insorge gradualmente. Il vizio valvolare rimane asintomatico per il tempo in cui il cuore riesce a compensarlo, ma a lungo andare possono manifestarsi sintomi come debolezza e facile faticabilità, fiato corto durante l’esercizio o da sdraiati, fastidio e vero e proprio dolore al petto spesso esacerbati dall’attività fisica, svenimenti, aritmie, palpitazioni e gonfiore a piedi e caviglie.

Come si può prevenire l’insufficienza aortica?

Sebbene nella maggior parte dei casi l’insufficienza aortica non si possa prevenire, esistono alcuni accorgimenti che aiutano a ridurne il rischio:

Cura adeguata dei mal di gola, allo scopo di ridurre il rischio di malattia reumatica (sindrome autoimmune che può essere scatenata da infezioni streptococciche).

Attenzione verso la cura di denti e gengive, in modo da ridurre il rischio di endocardite.

Controllo sempre attivo della pressione arteriosa.

Diagnosi

Una diagnosi precoce consente di intervenire prima che l’insufficienza aortica diventi più grave mettendo a rischio la vita di chi ne soffre.

È possibile avere i primi sospetti se viene riscontrato un soffio al cuore in occasione di una visita medica.

Tra gli esami che possono essere prescritti per verificare l’ipotesi diagnostica sono inclusi:

Ecocardiogramma transtoracico: è un test basato sull’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). È un esame fondamentale. Consente la valutazione del meccanismo e dell’entità del rigurgito aortico, oltre che delle dimensioni del ventricolo sinistro e della sua funzione contrattile.

Ecocardiogramma transesofageo: in questo caso si introduce la sonda dalla bocca e la si spinge in avanti fino a raggiungere l’esofago. Consente di visualizzare meglio le valvole e le strutture paravalvolari. Viene suggerito in particolare quando esiste il sospetto di un’endocardite.

RX torace (radiografia del torace): visualizza un ingrandimento dell’ombra cardiaca e spesso una dilatazione dell’aorta ascendente; in condizioni di scompenso cardiaco sono presenti segni di congestione polmonare (accumulo di liquidi nei polmoni).

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Possono essere rilevati segni di ipertrofia e sovraccarico (“iperlavoro”) del ventricolo sinistro.

Test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma nel momento in cui il paziente sta compiendo un esercizio fisico, generalmente mentre cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette. Può essere svolto allo scopo di confermare la mancanza di sintomi in presenza di insufficienza aortica grave e/o per valutare la risposta emodinamica all’esercizio.

Cateterismo cardiaco: metodologia invasiva basata sull’introduzione di un piccolo tubo (catetere) in un vaso sanguigno; il catetere viene poi spinto fino al cuore e permette l’acquisizione di informazioni importanti sul flusso e sull’ossigenazione del sangue, e sulla pressione all’interno delle camere cardiache e delle arterie e delle vene polmonari. Viene effettuato raramente, in genere quando c’è una discrepanza tra la clinica (in particolare la gravità dei sintomi) e la gravità dell’insufficienza aortica alle indagini non invasive.

Trattamenti

La terapia dell’insufficienza aortica dipende dalla gravità del vizio valvolare, dai sintomi con cui si manifesta e dalla presenza o meno di segni di disfunzione ventricolare sinistra.

Nei casi meno gravi non risulta necessaria nessuna terapia, l’unica cosa da fare è monitorare regolarmente la situazione attraverso una valutazione clinica ed ecocardiogramma in modo da poter intervenire tempestivamente in caso di peggioramenti significativi. Se però la pressione arteriosa è alta, il medico prescriverà dei farmaci antipertensivi allo scopo di limitare la velocità di progressione dell’insufficienza aortica.

In presenza di insufficienza aortica grave con sintomi o segni di disfunzione ventricolare sinistra, la soluzione migliore è l’intervento chirurgico, che può prevedere:

la riparazione della valvola aortica

la sostituzione della valvola aortica

La prognosi è in genere buona. Dopo pochi mesi è già possibile tornare a una vita normale.

 

 

Insufficienza mitralica

Insufficienza mitralica

 

L’insufficienza mitralica è una patologia caratterizzata da un difetto di chiusura della valvola mitrale che fa sì che parte del sangue pompato dal ventricolo sinistro refluisca nell’atrio sinistro invece che andare in aorta, provocando affaticamento e disturbi respiratori.

Che cos’è l’insufficienza mitralica?

In condizioni normali la valvola mitrale è formata da due sottili lembi mobili legati attraverso le corde tendinee a due muscoli (i muscoli papillari) che, contraendosi insieme al ventricolo sinistro in cui sono posizionati impediscono lo sbandieramento (prolasso) dei lembi mitralici nell’atrio sinistro: quando la valvola si apre i margini dei lembi si separano, consentendo al sangue di passare dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro, e si riavvicinano quando la valvola si chiude, impedendo al sangue di tornare indietro. In un cuore sano la valvola mitrale separa ermeticamente l’atrio sinistro dal ventricolo sinistro. Quando, invece, questa valvola non si chiude adeguatamente ne consegue la cosiddetta insufficienza mitralica, una condizione in cui parte del sangue che dovrebbe essere spinto dal ventricolo sinistro nell’aorta ritorna invece all’interno dell’atrio. A prescindere dalla causa, questa condizione può comportare un affaticamento del cuore, con dilatazione del ventricolo sinistro. Questo può avere come conseguenze uno scompenso cardiaco e anomalie del ritmo cardiaco, come la fibrillazione atriale, ma anche l’endocardite.

Da cosa può essere causata l’insufficienza mitralica?

L’insufficienza mitralica può essere primitiva o secondaria. Nel primo caso sono presenti alterazioni anatomiche dell’apparato valvolare mitralico: alterazioni dei lembi valvolari provocati ad esempio da un’endocardite o dalla malattia reumatica, allungamento o rottura delle corde tendinee con conseguente prolasso dei lembi valvolari, calcificazioni dell’anello mitralico, rottura traumatica di un muscolo papillare. Nell’insufficienza mitralica secondaria la valvola è anatomicamente normale e il difetto di chiusura è determinato da una grave compromissione della funzione contrattile del ventricolo sinistro (insufficienza cardiaca), che spesso è secondaria a una cardiopatia ischemica.

Con quali sintomi si manifesta l’insufficienza mitralica?

I sintomi dell’insufficienza mitralica sono correlati alla gravità e alla velocità di insorgenza e progressione; possono comprendere fiato corto (soprattutto durante l’attività fisica o da sdraiati), facile faticabilità, tosse (soprattutto di notte o da sdraiati), palpitazioni, gonfiore a piedi e caviglie.

Come si può prevenire l’insufficienza mitralica?

Per ridurre al minimo il rischio di insufficienza mitralica è fondamentale trattare adeguatamente le condizioni che potrebbero innescarla, come le infezioni alla gola che possono portare alla malattia reumatica (una sindrome autoimmune che può essere scatenata da infezioni streptococciche).

Diagnosi

Dopo un’accurata visita, se vengono riscontrati sintomi suggestivi di insufficienza mitralica che può rivelare tipicamente la presenza di un soffio cardiaco, il medico può prescrivere diversi esami diagnostici:

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Si possono visualizzare molteplici alterazioni, in special modo segni di dilatazione atriale sinistra, segni di ipertrofia e sovraccarico (“iperlavoro”) del ventricolo sinistro, aritmie come la fibrillazione atriale.

RX torace (radiografia del torace): possono essere presenti segni di dilatazione dell’atrio e del ventricolo sinistro e di congestione polmonare.

Ecocardiogramma transtoracico: è un test basato sull’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). È un esame fondamentale. Consente la valutazione del meccanismo e dell’entità dell’insufficienza mitralica, oltre che delle dimensioni dell’atrio e del ventricolo sinistro e della funzione contrattile di quest’ultimo, e della presenza di ipertensione polmonare. È possibile raccogliere le immagini in tempo reale anche mentre si esegue un test da sforzo (eco stress): l’esecuzione di un eco stress viene suggerita quando c’è discrepanza tra la gravità dei sintomi e l’entità dell’insufficienza mitralica a riposo.

Ecocardiogramma transesofageo: in questo caso si introduce la sonda dalla bocca e la si spinge in avanti fino a raggiungere l’esofago. Consente di visualizzare meglio le valvole e le strutture paravalvolari. Viene suggerito quando l’ecocardiogramma transtoracico non è conclusivo e, in special modo, quando si sospetta un’endocardite.

Test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma nel momento in cui il paziente sta compiendo un esercizio fisico, generalmente mentre cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette. Si può compiere allo scopo di confermare la mancanza di sintomi in presenza di insufficienza mitralica grave e per valutare la tolleranza allo sforzo.

Coronarografia: è l’esame che permette la visualizzazione delle coronarie utilizzando l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale vengono seguite tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati. La coronarografia viene suggerita quando esiste il sospetto che l’insufficienza mitralica sia secondaria a una cardiopatia ischemica.

RM cuore con mdc: produce immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni utilizzando la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Consente la valutazione della morfologia delle strutture del cuore, della funzione cardiaca ed eventuali alterazioni del movimento di parete (ipocinesie o acinesie). La somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto consente inoltre di distinguere se eventuali alterazioni del movimento di parete sono causate da fibrosi (=assenza di vitalità miocardica) o da ischemia. Quest’indagine trova quindi la sua applicazione elettiva nell’insufficienza mitralica secondaria a cardiopatia ischemica, come “guida” a eventuali interventi di rivascolarizzazione miocardica.

Trattamenti

La terapia dell’insufficienza mitralica è correlata alla gravità del vizio valvolare, ai sintomi che lo accompagnano, alla presenza o meno di segni di disfunzione ventricolare sinistra, e al fatto che sia primitiva o secondaria.

Se l’insufficienza mitralica è primitiva e di entità lieve o moderata, è possibile limitarsi a periodici controlli clinici ed ecocardiografici.

In presenza di un’insufficienza mitralica cronica primitiva grave viene suggerito un intervento chirurgico di riparazione (preferibilmente) o di sostituzione della valvola mitralica.

La terapia dell’insufficienza mitralica cronica secondaria consiste invece nella terapia dell’insufficienza cardiaca che ne è la causa:

beta-bloccanti, ACE-inibitori/sartani, anti-aldosteronici, digossina;

diuretici in caso di accumulo di liquidi;

l’impianto di pacemaker (PM) biventricolari e/o defribrillatori automatici (ICD).

 

 

Interferone alfa-2b

Interferone alfa-2b

 

S’impiega per trattare alcune forme di leucemia, di linfoma e di epatite nonché di alcune malattie associate all’AIDS e dei condilomi acuminati.

Trova altresì utilizzo in combinazione con il trattamento chirurgico di alcune forme di cancro alla pelle.

 

Che cos’è l’interferone alfa-2b?

Il suo esatto meccanismo di funzionamento non è noto ma si ritiene che esso agisca aiutando il sistema immunitario a combattere virus e cellule tumorali e che – allo stesso tempo – riduca la loro capacità di riprodursi.

 

Come si assume l’interferone alfa-2b?

Si somministra tramite iniezione.

 

Effetti collaterali dell’interferone alfa-2b

Può contenere albumina; per questo motivo vi è un raro rischio di malattia di Creutzfeldt-Jakob. L’assunzione di questo principio attivo può anche essere associata a gravi problemi epatici e polmonari, all’aumento della sensibilità della pelle alla luce solare e ad un possibile incremento dei livelli di zuccheri nel sangue.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

lievi sintomi simil-influenzali

senso di nausea

sensazione di stanchezza

conati di vomito

perdita di peso ccorporeo

stato di costipazione

scariche di diarrea

capogiri

fauci secche

assottigliamento dei capelli

sudorazione in aumento

scomparsa dell’appetito

lievi arrossamenti, gonfiori o prurito al punto di iniezione

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

cute arrossata, con vesciche, gonfia o che si desquama

forte dolore a livello lombare

capogiri o mal di testa gravi o persistenti

dolori o debolezza a livello muscolare gravi o persistenti

nausea, vomito o mal di stomaco forti o persistenti

difficoltà nel parlare

glicemia elevata

istinti suicidi o omicidi

emorragie o lividi

minzione ridotta

svenimenti

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza, oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

feci scure o sangue nelle feci

diarrea con sangue

stato di confusione

riduzione della concentrazione

battito accelerato o irregolare

problemi uditivi

febbre alta o persistente, brividi o mal di gola

sbalzi d’umore o del comportamento

debolezza a un singolo lato del corpo

dolore o intorpidimento a un braccio o a una gamba

persistente sensazione di freddo

problemi visivi

 

Controindicazioni e avvertenze

Ne può essere controindicato l’impiego in caso di problemi epatici, psichiatrici o del comportamento

Prima dell’utilizzo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (in particolare anticoagulanti, flurouracile, teofilline, interleuchina-2, zidovudina e qualsiasi farmaco che potrebbe ridurre l’attività del sistema immunitario)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di problemi epatici, renali o cardiaci, battito cardiaco irregolare, problemi di pressione, diabete, malattie autoimmuni, cancro, problemi al midollo osseo, bassi livelli di cellule del sangue, problemi di coagulazione o disturbi emorragici o coaguli di sangue nei vasi sanguigni, colesterolo o lipidi elevati, epilessia o convulsioni, problemi polmonari, alla tiroide, gastrointestinali, agli occhi o alla vista, insonnia, infiammazione del pancreas, problemi al sistema immunitario, epatite B o C, infezioni da HIV o altre infezioni virali

in caso di storia di abuso/dipendenza da alcol o da altre sostanze

in caso di donne gravide o in allattamento

in caso di trapianti e assunzione di immunosoppressori

in caso di infarto

Durante la cura, soprattutto all’inizio, è consigliabile aumentare l’assunzione di fluidi.

E’ anche importante una corretta igiene orale e far sapere a medici, chirurghi e dentisti dell’assunzione di interferone alfa-2b.

L’interferone alfa-2b può alterare le capacità di guida o di manovra di macchinari pericolosi. Tale effetto indesiderato può essere aggravato dall’alcol e da alcuni medicinali, in particolare da quelli che possono generare sonnolenza.

Intervento per strabismo

Intervento per strabismo

 

Lo strabismo è una malattia comune che riguarda il 4-5% della popolazione.

Il Centro Oculistico Humanitas si occupa dei problemi di strabismo riguardanti ogni fascia di età. Nell’ambito dello strabismo dell’adulto vengono trattati tutti i tipi di strabismo, come quelli causati da:

-scompenso di uno strabismo congenito

-strabismo secondario a problemi neurologici o neurochirurgici

-secondario a problemi organici oculari

-secondario a disordini tiroidei

-strabismi postraumatici

-restrittivi o di altra origine

 

Presso Humanitas si pratica la chirurgia dello strabismo anche utilizzando la più recente metodica denominata MISS (Minimally Invasive Strabismus Surgery) che, riducendo al minimo il trauma chirurgico mediante l’utilizzo di aperture congiuntivali di pochi millimetri, minimizza fino ad eliminare fastidiosi problemi post-intervento quali dolore, occhio rosso, gonfiore palpebrale; questi problemi con l’usuale metodica perdurerebbero spesso per qualche settimana.

 

Che cos’è?

 

L’intervento chirurgico ha l’obiettivo di riallineare gli assi visivi agendo sui muscoli che controllano gli occhi.  Per fare questo è necessario modificare la forza con cui i muscoli sono in grado di far muovere i bulbi oculari.

A tal fine è possibile:

-“rinforzare” un muscolo accorciandolo mediante un intervento di plicatura (in Humanitas è ormai abbandonato da anni l’intervento di resezione, ritenuto troppo demolitivo)

-“indebolirlo” mediante un intervento di recessione

 

Come funziona l’intervento per strabismo?

 

Gli interventi per lo strabismo e per la diplopia possono essere effettuati sia in anestesia topica sia in anestesia generale. Nella maggior parte dei casi il paziente resta in osservazione alcune ore dopo la chirurgia, e raramente è necessario il ricovero, mai comunque superiore ad una notte.

 

L’intervento per strabismo è doloroso o pericoloso?

 

Gli interventi di correzione dello strabismo, pur se non francamente dolorosi, determinano comunque un certo disconfort postoperatorio (dolore, occhio rosso, gonfiore palpebrale) che può perdurare per alcune settimane.

Al fine di ridurre tale disagio in Humanitas, in alcuni casi, si pratica la chirurgia dello strabismo anche utilizzando la più recente metodica denominata MISS (Minimally Invasive Strabismus Surgery) che riduce al minimo il trauma chirurgico.

 

 

Quali pazienti possono effettuare l’intervento per strabismo?

 

Solo una valutazione preoperatoria scrupolosa e completa unita all’esperienza del chirurgo su tutte le possibili tecniche di chirurgia potranno portare alla scelta della miglior strategia chirurgica per il caso specifico.

 

Follow up

 

I pazienti operati per strabismo vengono sempre controllati il giorno successivo all’intervento, dopo una settimana e dopo sei settimane. Successivamente si procede a visite con cadenza annuale.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Non sono necessarie metodiche specifiche di preparazione all’intervento. Quando si è concordato l’intervento con il paziente, si programma l’usuale routine pre-ricovero in maniera non dissimile da quella di un qualunque intervento chirurgico (esami ematici di routine, ECG, visita anestesiologica con gli accertamenti ritenuti necessari dall’anestesista).

 

Alternative alla chirurgia

 

La chirurgia è spesso l’atto finale di una serie di processi diagnostico-terapeutici mirati a comprendere e, ove possibile, a risolvere le cause dello strabismo.

Nei bambini la chirurgia deve essere sempre preceduta, e spesso anche successivamente accompagnata, da un’attenta valutazione della funzionalità visiva in tutti i suoi aspetti, diventando infine la risoluzione di uno sgradevole e quanto mai disturbante inestetismo.

In alcuni strabismi degli adulti, essenzialmente in quelli con un angolo piccolo e in quelli che prevediamo siano in miglioramento spontaneo, nei quali spesso il sintomo prevalente è la visione doppia, una buona opzione terapeutica è offerta dalla correzione con lente prismatica inizialmente adesiva applicabile alla lente correttiva e successivamente incorporata alla stessa.

Invecchiamento (o Aging) del terzo superiore del volto

Invecchiamento (o Aging) del terzo superiore del volto

 

L’aging, o invecchiamento del terzo superiore del volto è un fenomeno del tutto naturale che si verifica con l’avanzare dell’età. Con il passare degli anni le palpebre e i tessuti del volto tendono a perdere tonicità e volume e la pelle diventa lassa perdendo elasticità a seguito di un assottigliamento del collagene e dell’atrofizzazione del derma.

 

Che cos’è l’invecchiamento (o aging) del terzo superiore del volto?

Normalmente l’invecchiamento coinvolge entrambi i lati del volto, dove un’eccedenza di cute della palpebra superiore può essere associata alla protrusione di un’ernia di grasso che compare dal setto orbitario (struttura legamentosa di contenimento).

 

Quali sono le cause dell’invecchiamento (o aging) del terzo superiore del volto?

L’aging è favorito da fattori ambientali come l’esposizione al sole, oppure dal fumo. Questi fattori riducono l’efficienza dei meccanismi di riparazione dei tessuti e vanno ad accrescere il processo di invecchiamento.

 

Quali sono i sintomi dell’invecchiamento (o aging) del terzo superiore del volto?

Con l’invecchiamento le palpebre superiori hanno un aspetto cadente per via della dermatocalasi , un eccesso di pelle. Le pieghe delle palpebre diventano indefinite e possono andare a determinare una diminuzione, anche ragguardevole, del campo visivo superiore. Un processo di invecchiamento analogo si verifica anche nelle palpebre inferiori, dove la manifestazione più comune è la comparsa delle cosiddette borse.

 

Diagnosi

La diagnosi è esclusivamente clinica e serve a distinguere l’invecchiamento da forme di pseudoptosi (retrazione palpebrale controlaterale, sindrome della cavità vuota, ptosi del sopracciglio) e forme miste associate a ptosi (dermatocalasi con mutata funzione del muscolo elevatore palpebrale). Per questo sono utili i seguenti esami:

  • Esame del campo visivo. Serve per individuare la gravità della patologia, in modo da distinguere un danno esclusivamente estetico da un deficit funzionale rilevante in cui più del 40% dei settori superiori dell’occhio siano compromessi.
  • Visita ortottica
  • Imaging radiologico
  • Consulto multidisciplinare tra specialisti

 

Trattamenti

La terapia chirurgica, che può essere decisa solamente solo dopo una corretta diagnosi, prevede una blefaroplastica, che consiste nella rimozione dell’eccesso di cute, grasso e, se necessario, di parte di tessuto muscolare.

A migliorare il risultato del trattamento chirurgico può seguire una terapia medica basata sull’uso della tossina botulinica, che limita le cosiddette “zampe di gallina” ringiovanendo gli occhi, riduce le rughe glabellari (poste alla radice del naso) e quelle della fronte.

 

Prevenzione

Per prevenire l’invecchiamento del terzo superiore del volto è consigliato l’uso di creme con adeguato fattore di protezione solare e eliminare il vizio del fumo.

Iopromide

Iopromide

 

S’impiega per fornire un’immagine chiara di organi come cervello, cuore e vasi sanguigni durante procedure diagnostiche come la Tac e l’angiografia.

 

Che cos’è la iopromide?

E’ un mezzo di contrasto iodato che migliora la visibilità di strutture interne al corpo.

 

Come si assume la iopromide?

Si somministra tramite infusione in una vena o in un’arteria.

 

Effetti collaterali della iopromide

Può causare gravi problemi renali.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

dilatazione delle pupille

bruciore, prurito e secchezza a livello oculare

acufeni

eccessiva lacrimazione o secrezioni oculari

sensazione di continuo movimento o rotazione

mal di testa

compromissione dell’udito

aumento della sensibilità degli occhi alla luce

palpebre o occhi arrossati, dolenti o gonfi

alterazioni nel gusto

problemi visivi

dolori o fastidi a livello addominale

acidità gastrica

stato di agitazione

gonfiori o meteorismo

dolori

bruciore, prurito, intorpidimenti o pizzicore

difficoltà nel movimento

fauci secche

aumento del tono muscolare, tensioni e rigidità muscolari

generale malessere

perdita delle capacità di coordinazione, della forza e dell’energia

senso di sonnolenza

rigonfiamenti e sensibilità delle ghiandole nel collo

cambiamenti alla voce

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

sensazione di caldo

vampate di calore

sangue nelle urine

scariche di diarrea

espettorato rosa

difficoltà a deglutire

vene del collo dilatate

estremo affaticamento

dolori a livello muscolare o articolare

scomparsa dell’appetito

dolore lombare o al fianco

stato di nervosismo

occhi o viso gonfi

lesioni rossastre sulla pelle

sensibilità al calore

piaghe o ulcere in bocca o sulle labbra

stato d’insonnia

minzione dolorosa, difficoltosa, urgente, frequente o ridotta

mal di testa

sudorazioni

cianosi

sintomi convulsivi

tosse

eccessiva sete

brividi e febbre

vomito o nausea

respiro sibilante

dolore o fastidio a braccia, mascella, schiena o collo

battito irregolare

pizzicore a mani o piedi

insoliti stanchezza, debolezza o aumento di peso

decolorazione della cute, desquamazione, bruciore, vesciche o sensazione di freddo

sensazioni spiacevoli o pallore a livello del punto di iniezione

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua, mani, polpacci o piedi

svenevolezza, capogiri o sensazione di testa leggera

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima della somministrazione è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze, in particolare a mezzi di contrasto o allo iodio

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (in particolare acido ipanoico, ipodato metformina, acido iocetamico, e tiropanoato)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di rinite allergica, asma, scompenso cardiaco congestizio, diabete, malattie reali, mieloma multiplo, disturbi della coagulazione, problemi cardiovascolari, ipertiroidismo, feocromocitoma, anemia falciforme, malattie dei vasi sanguigni, livelli elevati di proteine nel sangue o omocistinuria

in caso di disidratazione

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

È importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti della somministrazione di iopromide.

Inoltre è importante non assumere altri farmaci o medicinali senza previo consenso medico.

Ipermetropia

Ipermetropia

 

L’ipermetropia è un difetto di refrazione dell’occhio per il quale la vista degli oggetti vicini risulta sfocata rispetto a quelli lontani; nelle ipermetropie lievi è possibile vedere chiaramente gli oggetti molto distanti, ma nel caso di ipermetropie elevate anche gli oggetti lontani risulteranno sfocati. Questo è dovuto al fatto che la luce proveniente dagli oggetti, sia che essi siano vicini che lontani, non viene proiettata perfettamente sulla retina, ma su un piano posto dietro ad essa.

 

Che cos’è l’ipermetropia?

Nei giovani pazienti che soffrono di ipermetropia lieve, l’occhio riesce a controbilanciare il difetto con il meccanismo naturale dell’accomodazione (la capacità di messa a fuoco del cristallino che modifica la propria forma all’interno dell’occhio), ma in pazienti verso i 40 anni di età questa capacità inizia a diminuire. Sono quindi necessarie lenti correttive. A questa età i pazienti hanno la sensazione di un peggioramento progressivo della capacità visiva. In realtà questo difetto è congenito. L’effetto percepito è solo una diminuita capacità di compensarlo che viene meno con l’avanzare dell’età. Per questo è necessario correggere la vista con gli occhiali.

 

Quali sono le cause dell’ipermetropia?

Le cause possibili di questa patologia sono tre: la curvatura corneale non sufficiente, il cristallino mal formato o l’occhio troppo corto.

 

Quali sono i sintomi dell’ipermetropia?

L’ipermetrope ha difficoltà a mettere a fuoco oggetti vicini, necessita per questo di strizzare gli occhi per vedere chiaramente. Il cristallino, inoltre, tendendo a compensare il difetto viene sottoposto a uno affaticamento continuo del muscolo ciliare, che non risulta mai rilassato. La visione continua di oggetti distanti e oggetti vicini richiede un continuo aggiustamento del cristallino. Non è raro che questo funzionamento dia vita a sintomi quali:

bruciore;

lacrimazione dell’occhio più o meno intensa;

dopo un periodo di lettura, di scrittura, di lavoro al computer o di svolgimento dei compiti con i bambini, gli occhi sono doloranti e il soggetto lamenta mal di testa

ipersensibilità alla luce poiché i muscoli che gestiscono lo spostamento del cristallino hanno la stessa inserzione di quelli che deputati al movimento della pupilla

 

Diagnosi

Per diagnosticare l’ipermetropia è necessaria una visita oculistica, sia per i bambini che per gli adulti. Nei bambini è fondamentale l’utilizzo di gocce “cicloplegiche”, per permettere la dilatazione della pupilla e l’annullamento l’effetto compensatorio del cristallino e poter quindi misurare il difetto reale.

L’ipermetropia si misura in diottrie. Più elevato sarà il grado di ipermetropia, più elevata sarà la correzione da prescrivere, un occhiale o una lente a contatto, quindi, caratterizzate da un elevato numero di diottrie.

 

Trattamenti

L’ipermetropia può essere corretta con occhiali o lenti a contatto. L’intervento chirurgico è un’altra opzione per il trattamento dell’ipermetropia.

La chirurgia foto refrattiva utilizza il laser ad eccimeri. L’energia del laser interrompe i legami fra le molecole e produce una “evaporazione” del tessuto bersagliato senza danneggiare i tessuti circostanti.

 

I laser ad eccimeri di ultima generazione, strumenti chirurgici più all’ avanguardia presenti attualmente sul mercato mondiale, riescono ad operare ipermetropie molto più elevate rispetto a quelle che era possibile trattare in passato. Grazie al sistema di inseguimento attivo riesce a lavorare sull’asse visivo specifico del paziente in terapia, asse che è diverso in ogni individuo. L’intervento è quindi personalizzato a seconda delle caratteristiche specifiche di ogni persona raggiungendo così risultati molto superiori rispetto alla normale chirurgia standard.

L’applicazione del laser ad eccimeri può essere eseguita sia con le tecniche chirurgiche di superficie: PRK, oppure con la più avanzata PRK trans epiteliale customizzata, LASEK o EpiLASIK, sia con le tecniche chirurgiche intra stromali: LASIK.

 

Prevenzione

Visite oculistiche, essenziali nella prima infanzia cioè verso i 5 anni di età o anche prima se esiste familiarità per patologie oculari o se si notano atteggiamenti particolari nel bambino quando guarda gli oggetti o la televisione.

Ipertensione arteriosa

Ipertensione arteriosa

 

Che cos’è l’ipertensione arteriosa?

L’ipertensione arteriosa è una patologia caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie, che viene determinata dalla quantità di sangue pompata dal cuore e dalla resistenza delle arterie al flusso del sangue. Colpisce circa il 30% della popolazione adulta di entrambi i sessi e, nelle donne, è più frequente dopo la menopausa.

Quali sono le conseguenze?

L’ipertensione arteriosa non è una malattia, ma un fattore di rischio, ovvero una condizione che aumenta la probabilità che si verifichino altre malattie cardiovascolari (per esempio: angina pectoris, infarto miocardico, ictus cerebrale). Per questo motivo, è fondamentale riuscire ad individuarla e curarla, allo scopo di prevenire i danni che essa può provocare.

Si tratta di ipertensione arteriosa sistolica quando viene aumentata solo la pressione massima; al contrario, nell’ipertensione diastolica, vengono alterati i valori della pressione minima. Si definisce ipertensione sisto-diastolica la condizione in cui entrambi i valori di pressione (minima e massima) sono superiori alla norma.

Classicamente, e in conseguenza delle modificazioni che avvengono nell’organismo per effetto dell’invecchiamento, sono gli anziani e i grandi anziani (ultranovantenni) a soffrire più spesso di ipertensione arteriosa sistolica isolata, con valori di pressione massima anche molto alti, e pressione minima bassa. I soggetti più giovani, al contrario, soffrono più frequentemente di forme di ipertensione diastolica isolata.

Da cosa può essere causata l’ipertensione?

L’ipertensione arteriosa può essere classificata in primaria e secondaria.

Non esiste una causa precisa, identificabile e curabile dell’ipertensione arteriosa primaria (o essenziale), che rappresenta circa il 95% dei casi di ipertensione: gli elevati valori pressori sono il risultato dell’alterazione dei meccanismi complessi che regolano la pressione (sistema nervoso autonomo, sostanze circolanti che hanno effetto sulla pressione).

Nel restante 5% dei casi, invece, l’ipertensione è la conseguenza di malattie, congenite o acquisite, che interessano i reni, i surreni, i vasi, il cuore, e per questo viene definita ipertensione secondaria. In queste situazioni, l’individuazione e la rimozione delle cause (cioè, la cura della malattia di base) può essere accompagnata dalla normalizzazione dei valori pressori.

Al contrario dell’ipertensione arteriosa essenziale, che classicamente colpisce la popolazione adulta, l’ipertensione secondaria colpisce anche soggetti più giovani e spesso è caratterizzata da valori di pressione più alti e più difficilmente controllabili con la terapia farmacologica.

È importante in alcuni casi evidenziare la dipendenza dell’aumento dei valori di pressione arteriosa dall’uso (talvolta dall’abuso) di alcune sostanze tra cui, per esempio, la liquirizia, gli spray nasali, il cortisone, la pillola anticoncezionale, la cocaina e le amfetamine. In queste situazioni, se si sospende l’assunzione di queste sostanze, i valori pressori tornano alla normalità.

Con quali sintomi si manifesta l’ipertensione?

L’aumento dei valori pressori non è sempre correlato alla comparsa di sintomi, soprattutto se avviene in modo non improvviso: l’organismo si abitua in modo progressivo ai valori sempre un po’ più elevati, e non invia segnali al paziente. Per questo, in molte delle persone colpite da ipertensione non sono presenti sintomi, anche in presenza di valori pressori molto elevati.

In ogni caso, i sintomi associati all’ipertensione arteriosa non sono specifici, e per questo sono spesso sottovalutati o imputati a condizioni diverse. Tra i sintomi più comuni troviamo:

Mal di testa, specie al mattino

Stordimento e vertigini

Ronzii nelle orecchie (acufeni, tinniti)

Alterazioni della vista (visione nera, o presenza di puntini luminosi davanti agli occhi)

Perdite di sangue dal naso (epistassi)

Nei casi di ipertensione secondaria, ai sintomi aspecifici possono esserne associati altri, più specifici, provocati dalla malattia di base.

Il fatto che i sintomi siano scarsi e aspecifici rappresenta la ragione principale per cui spesso il paziente non si accorge di avere la pressione alta. Per questo è fondamentale controllare periodicamente la pressione: fare diagnosi precoce di ipertensione arteriosa significa prevenire i danni ad essa legata e, quindi, malattie cardiovascolari anche invalidanti.

Quali sono i fattori che predispongono le persone a questa condizione?

Familiarità: la presenza, in famiglia, di soggetti ipertesi comporta un aumento di probabilità che un paziente sviluppi ipertensione arteriosa.

Età: la pressione arteriosa aumenta con l’avanzare dell’età, come conseguenza dei cambiamenti che si verificano a carico dei vasi arteriosi (che, invecchiando, diventano più rigidi). Ad un certo punto, mentre la pressione sistolica (massima) continua ad aumentare per effetto dell’età, la diastolica (minima) non aumenta più o, addirittura, tende a diminuire; questo spiega le forme di ipertensione sistolica isolata tipica dei grandi anziani.

Sovrappeso: sovrappeso e obesità, attraverso meccanismi diversi e complessi, sono correlati ad un incremento dei valori pressori.

Diabete: questa condizione, grave e assai diffusa tra la popolazione adulta, si associa spessissimo ad un aumento della pressione arteriosa, elevando in modo significativo il rischio di malattie cardiovascolari.

Fumo: il fumo di sigaretta altera in modo acuto i valori di pressione arteriosa (dopo aver fumato, la pressione resta più alta per circa mezz’ora); a questo, si aggiungono i danni cronici che il fumo provoca ai vasi arteriosi (perdita di elasticità, danno alle pareti vascolari, predisposizione alla formazione di placche aterosclerotiche).

Disequilibrio di sodio e potassio: il consumo di cibi troppo salati e, in generale, un’alimentazione troppo ricca di sodio o troppo povera di potassio, possono contribuire a determinare l’ipertensione arteriosa.

Alcool: un consumo eccessivo di alcoolici (più di un bicchiere al giorno per le donne, due per gli uomini) può contribuire all’innalzamento dei valori pressori, oltre che provocare danni al cuore (che, in conseguenza del troppo alcool, tende a dilatarsi e a perdere la sua funzione di pompa, con gravi conseguenze su tutto l’organismo).

Stress: lo stress (fisico ed emotivo) contribuisce al mantenimento di valori di pressione più alti. Questo spiega, per esempio, perché in occasione delle visite mediche, la pressione è spesso più alta rispetto a quella che il paziente si misura al domicilio; perché la pressione possa essere più alta nei giorni lavorativi rispetto ai periodi di vacanza, ed anche perché i valori di pressione aumentino mentre si fa esercizio fisico.

Sedentarietà: non esiste certezza riguardo alla correlazione tra sedentarietà ed aumento della pressione arteriosa; è certo, tuttavia, che l’attività fisica moderata e costante (mantenendo attivo l’organismo e favorendo il controllo del peso) contribuisca a ridurre i valori pressori e a potenziare le prestazioni fisiche (l’allenamento aumenta progressivamente la capacità di tollerare gli sforzi).

Diagnosi

La misurazione della pressione arteriosa viene indicata attraverso due valori, pressione sistolica (massima) e pressione diastolica (minima), che dipendono dal fatto che il muscolo cardiaco si contrae (sistole) e si rilassa (diastole) tra un battito e l’altro.

I valori normali per la popolazione adulta sono compresi entro i 140/85 mmHg. Pertanto, si tratta di ipertensione quando uno o entrambi i valori di pressione sono costantemente superiori alla norma.

Poiché l’aumento dei valori pressori spesso non è correlato a sintomi e poiché, quando presenti, questi non sono specifici, l’unico modo per fare diagnosi di ipertensione arteriosa è quello di sottoporsi periodicamente a misurazioni della pressione. In caso contrario, è possibile effettuare una diagnosi quando i valori di pressione, alti da parecchio tempo, hanno già compiuto un danno o, addirittura, in occasione di eventi acuti (infarto miocardico, ictus cerebrale).

Una volta fatta una diagnosi di ipertensione arteriosa, è importante sottoporsi ad alcuni esami allo scopo di comprendere se l’ipertensione ha già danneggiato i vasi, il cuore, i reni, aiutando il medico a definire il profilo di rischio cardiovascolare dei pazienti e a scegliere la terapia antiipertensiva più adatta.

Trattamenti

Come si può curare l’ipertensione?

Il trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche quando viene previsto il ricorso a farmaci, non può assolutamente prescindere da cambiamenti nello stile di vita.

Il trattamento della pressione arteriosa deve avere come obiettivo quello di riportare i valori pressori alla normalità (cioè, entro i 140/85 mmHg, a meno di patologie concomitanti, che impongono valori di pressione più bassi): non è sufficiente, pertanto, abbassare un po’ la pressione, ma è importante normalizzarla (diversamente, il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari resterà aumentato).

Un’alimentazione povera di sale, un’attività fisica moderata e costante (30 minuti/die di camminata veloce o di cyclette), il controllo del peso corporeo (la perdita di peso, in caso di sovrappeso/obesità), l’astensione dal fumo di sigaretta, un consumo controllato di alcoolici, sono tutti atteggiamenti consigliabili in caso di riscontro di un incremento di valori pressori. Nei casi di lievi aumenti della pressione arteriosa, ed in mancanza di altri fattori di rischio correlati (fumo, diabete, ipercolesterolemia, obesità), queste modificazioni dello stile di vita possono essere la sola terapia prescritta dal medico, e possono essere efficaci nel riportare la pressione arteriosa a valori normali.

Una volta effettuata la diagnosi di ipertensione arteriosa e corrette le abitudini di vita, è possibile che sia necessario cominciare una terapia farmacologica, allo scopo di normalizzare la pressione arteriosa.

È importante sapere che la terapia antiipertensiva è una terapia cronica, che deve essere assunta per molti anni (di rado capita che un paziente iperteso ad un certo punto possa smettere di assumere i farmaci per la pressione).

Sono disponibili molti farmaci che agiscono sul controllo della pressione arteriosa con meccanismi diversi; sono tutti efficaci e sicuri, per cui la scelta del tipo di antiipertensivo da utilizzare viene fatta dal medico in base alla storia del paziente e alla presenza di altre patologie associate.

Per alcuni pazienti è sufficiente utilizzare un solo antiipertensivo per normalizzare la pressione arteriosa, per altri risulta opportuno ricorrere all’associazione di più farmaci, che agendo con meccanismi diversi concorrono al controllo della pressione. Il fatto che sia necessario assumere più antiipertensivi non significa avere un’ipertensione più aggressiva, ma più semplicemente si deve alla diversa reazione che ogni paziente può avere verso le singole terapie. Per questo, potrebbe volerci un po’ di tempo prima che si arrivi a trovare il o i farmaci efficaci e meglio tollerati. E può anche succedere che dopo anni di terapia, un paziente richieda l’aggiunta o il cambio di un farmaco: non è colpa dell’antiipertensivo che perde efficacia, ma è l’effetto della pressione arteriosa, che con gli anni cambia.

In alcuni pazienti anche l’utilizzo anche di 4-5 farmaci antiipertensivi a dosaggio pieno può non essere sufficiente a controllare la pressione arteriosa: in questi casi si tratta di ipertensione arteriosa resistente. Di recente si è proposto l’uso di nuove terapie non farmacologiche per il trattamento di queste forme di ipertensione arteriosa (denervazione delle arterie renali).

Farmaci antiipertensivi:

ACE inibitori, antagonisti del recettore per l’angiotensina II (Angiotensin II receptor Blocker – ARBs) o sartani, inibitori diretti della renina: abbassano la pressione interferendo con la produzione di alcune sostanze circolanti che costituiscono il cosiddetto sistema renina-angiotensina-aldosterone. Ogni classe di farmaci risulta attiva in un punto diverso di questo sistema.

Calcio antagonisti: controllano la pressione determinando vasodilatazione.

Diuretici: aiutano l’organismo a smaltire acqua e sali minerali (sodio)

Alfa e beta bloccanti: agiscono a livello dei meccanismi nervosi di controllo periferico della pressione arteriosa

Simpaticolitici ad azione centrale: agiscono a livello dei meccanismi nervosi di controllo centrale (sistema nervoso centrale) della pressione arteriosa

Ipertensione polmonare

Ipertensione polmonare

 

Con il termine “ipertensione polmonare” viene indicato un incremento della pressione del sangue all’interno dei vasi arteriosi del polmone causato dalla distruzione, dall’ispessimento parietale, dal restringimento o dall’ostruzione dei vasi stessi.

Che cos’è l’ipertensione polmonare?

Con il termine “ipertensione polmonare” viene indicato un incremento della pressione del sangue all’interno dei vasi arteriosi del polmone causato dalla distruzione, dall’ispessimento parietale, dal restringimento o dall’ostruzione dei vasi stessi.

La pressione polmonare media è normalmente di circa 14 mmHg a riposo: si può cominciare a parlare di ipertensione polmonare quando la pressione polmonare media supera i 25 mmHg. Questa condizione sottopone il ventricolo destro (deputato a pompare sangue verso i polmoni) a un sovraccarico di pressione e volume, che può portarlo all’insufficienza contrattile e allo scompenso.

Se l’ipertensione polmonare non viene opportunamente trattata, può degenerare provocando un ulteriore restringimento dei vasi sanguigni e aggravare i sintomi tipici della patologia.

Da cosa può essere causata l’ipertensione polmonare?

L’ipertensione polmonare può essere di due tipi:

  1. Primitiva o idiopatica: rappresenta una condizione rara che colpisce soprattutto il sesso femminile. Compare più frequentemente tra i 30 e i 50 anni. Sebbene ancora non si conosca la causa dell’ipertensione polmonare primitiva, la patologia può risultare correlata a particolari mutazioni genetiche.
  2. Acquisita o secondaria: è molto più diffusa della forma primitiva. La patologia nella forma secondaria è stata osservata in associazione a:

Malattie polmonari come l’enfisema, la fibrosi polmonare, la broncopneumopatia cronica ostruttiva e la patologia respiratoria associata ai disordini del sonno (apnee notturne).

Embolia polmonare e ipertensione polmonare trombo embolica cronica.

Malattie autoimmuni del tessuto connettivo, come la sclerodermia o il lupus eritematoso sistemico.

Difetti cardiaci congeniti o malattie del cuore sinistro (valvulopatie, grave insufficienza cardiaca).

Anemia emolitica cronica (anemia falciforme).

Malattie croniche del fegato con ipertensione portale.

Infezioni da HIV.

Assunzione di alcuni farmaci (anoressizzanti, inibitori del reuptake della serotonina) o di sostanze stimolanti (cocaina, anfetamine).

Con quali sintomi si manifesta l’ipertensione polmonare?

La sintomatologia dell’ipertensione polmonare può comprendere:

Difficoltà di respirazione, in particolare durante sforzi fisici.

Stanchezza o affaticabilità.

Svenimenti.

Nelle fasi avanzate della patologia le difficoltà di respirazione possono manifestarsi anche in una situazione di riposo ed è possibile che compaiano dolori al petto tipici dell’angina pectoris (segno di sofferenza cardiaca) ed edema (ristagno di liquidi) agli arti inferiori.

Come si può prevenire l’ipertensione polmonare?

In relazione all’ipertensione polmonare secondaria la prevenzione può essere mirata a evitare/trattare tutte le condizioni mediche e i fattori di rischio che possono comportare lo sviluppo della malattia.

Per quanto riguarda l’ipertensione polmonare primitiva, poiché la causa all’origine di questa forma della patologia è perlopiù sconosciuta, non è possibile prevenirla.

Diagnosi

L’ecocardiografia transtoracica rappresenta la tecnica non invasiva migliore per approcciare la diagnosi di ipertensione polmonare. Un ecocardiogramma consente di visualizzare molto accuratamente il cuore e di registrare le alterazioni morfologiche e strutturali delle camere cardiache destre che si sviluppano come conseguenza dell’incremento dei valori di pressione polmonare. La metodica Doppler consente inoltre di effettuare una stima indiretta della pressione sistolica (cioè la pressione massima) nell’arteria polmonare.

Per effettuare una diagnosi definitiva è però necessario sottoporsi al cateterismo cardiaco: attraverso questo esame si può infatti misurare in modo diretto alcuni parametri, la cui alterazione è correlata ad una prognosi sfavorevole della malattia: la pressione nell’atrio destro del cuore, la pressione polmonare media, la portata cardiaca. Tramite il cateterismo cardiaco si può inoltre eseguire il test di vaso-reattività polmonare: attraverso la somministrazione di farmaci che inducono la dilatazione dei vasi sanguigni polmonari si possono identificare i pazienti che presentano una residua capacità di vasodilatazione polmonare e che potrebbero trarre giovamento dalle terapie farmacologiche.

Possono inoltre risultare utili:

Spirometria: il paziente respira tramite un boccaglio e l’apparecchio collegato al boccaglio misura vari aspetti della respirazione, per riscontrare eventuali anomalie che rimandano a patologie polmonari.

Angio-tomografia computerizzata del torace e angiopneumografia: sono esami radiologici che consentono la visualizzazione del decorso delle arterie polmonari e la loro eventuale occlusione.

Scintigrafia polmonare perfusoria: con questo esame si può ottenere una “fotografia” della circolazione sanguigna nei polmoni. In presenza di ostruzioni vengono rilevati difetti di perfusione.

Emogasanalisi (EGA): è un prelievo di sangue arterioso allo scopo di misurare la quantità di ossigeno e di anidride carbonica in esso presenti.

Test del cammino e test da sforzo cardiopolmonare: per valutare la tolleranza cardiaca allo sforzo e la presenza di eventuale insufficienza respiratoria.

Trattamenti

Il trattamento varia a seconda che si soffra della forma primitiva o secondaria della malattia.

Nel caso di ipertensione polmonare secondaria, la terapia è basata principalmente sui trattamenti mirati a curare la condizione che ha scatenato la patologia.

Il trattamento dell’ipertensione polmonare primaria è basato sulla somministrazione di farmaci che possano vasodilatare il circolo polmonare come calcio antagonisti, prostacicline, farmaci antiendotelina e inibitori della fosfodiesterasi tipo 5 (sildenafil e simili).

In molti casi viene suggerito l’impiego di anticoagulanti orali, che possono essere correlati a diuretici e ad altre terapie dell’insufficienza cardiaca, in caso di scompenso di circolo.

 

 

Ipotensione

Ipotensione

 

L’ipotensione è una condizione in cui la pressione del sangue è molto più bassa rispetto ai valori considerati normali. Solitamente può essere trattata con successo per evitare che quantità sufficienti di ossigeno e nutrienti non raggiungano cuore, cervello e altri organi e tessuti dell’organismo.

Che cos’è l’ipotensione?

La pressione del sangue varia da persona a persona. Generalmente si parla di ipotensione quando c’è una condizione in cui la pressione massima (o sistolica) è uguale o inferiore a 90 mmHg e quella minima (o diastolica) è uguale o inferiore a 60 mmHg. L’ipotensione può essere causata da molteplici fattori di diversa rilevanza: si varia pertanto da una banale disidratazione a disturbi più seri. Cali pressori improvvisi possono determinare un afflusso ridotto di sangue al cervello con il rischio di svenimenti e cadute a terra, le cui conseguenze sono particolarmente disastrose nei soggetti anziani (pericolo di fratture gravi). Solitamente si tratta di un problema risolvibile, a patto che la sua causa sia correttamente individuata.

Da cosa può essere causata l’ipotensione?

Alla base della diminuzione della pressione sanguigna possono esserci un’emorragia improvvisa, una grave infezione, uno scompenso cardiaco, uno shock anafilattico, danni ai nervi che regolano le variazioni pressorie della circolazione come nel caso di diabete, aritmie e disidratazione. Si può avere una comparsa di ipotensione in concomitanza con cambiamenti repentini della postura, come avviene nel caso di ipotensione ortostatica, soprattutto al passaggio rapido dalla posizione sdraiata alla posizione eretta. In questo caso i disturbi scompaiono entro pochi minuti o addirittura in pochi secondi se il soggetto ripristina rapidamente la posizione di partenza. Una situazione simile si verifica nel caso dell’ipotensione ortostatica postprandiale, in cui il problema compare dopo i pasti ed interessa soprattutto gli anziani. L’aumento del sangue confinato alla regione gastro-intestinale, per garantire il miglior svolgimento del lavoro digestivo, sottrae sangue agli altri organi e contribuisce all’abbassamento della pressione arteriosa sistemica. Nei bambini e nei giovani adulti si verifica più frequentemente l’ipotensione neuromediata, un problema che può fare la sua comparsa quando si sta in piedi per un periodo di tempo troppo lungo. Infine, la pressione può essere ridotta notevolmente dall’alcol e da alcuni farmaci, soprattutto i medicinali contro l’ansia e la depressione, i diuretici, gli antipertensivi in generale e alcuni antidolorifici.

Con quali sintomi si manifesta l’ipotensione?

I principali sintomi dell’ipotensione sono: vista appannata, stato confusionale, vertigini, svenimento, stordimento, nausea o vomito, sonnolenza e debolezza.

Come si può prevenire l’ipotensione?

Le misure preventive sono indicate soprattutto nelle forme di ipotensione ortostatica e di ipotensione neuromediata. Nel primo caso è bene evitare una eccessiva disidratazione, attraverso l’assunzione di una congrua dose di liquidi nella giornata; è fortemente consigliato inoltre di evitare di alzarsi velocemente dalla posizione seduta o sdraiata, di non bere alcolici ed eventualmente di utilizzare calze contenitive. In caso di ipotensione neuromediata è necessario evitare di stare in piedi troppo a lungo.

Diagnosi

Per una diagnosi dell’ipotensione è necessaria una visita medica in cui vengono valutati pressione sanguigna in clino e ortostatismo, polso, respirazione e temperatura corporea, e in cui vengono raccolte informazioni sui farmaci assunti, sull’alimentazione, su malattie o traumi recenti.

Potrebbero essere prescritte delle analisi di primo livello tra cui:

Esami del sangue completi + esame urine

Elettrocardiogramma

Radiografia del torace

Trattamenti

Se l’ipotensione non è correlata ad alcun sintomo, generalmente non è necessario un trattamento. Negli altri casi la terapia più adatta dipende dalla causa dell’abbassamento della pressione sanguigna.

In caso di ipotensione ortostatica potrebbe essere necessario limitare le dosi di alcuni dei farmaci assunti o sostituirli con altri medicinali, bere di più per evitare la disidratazione e indossare calze contenitive.

Per chi soffre di ipotensione neuromediata sarebbe opportuno evitare di stare in piedi troppo a lungo, mantenersi idratato e aumentare il consumo di sale; solo nei casi più gravi potrebbe essere necessario assumere farmaci specifici.

Per le forme di ipotensione più gravi è necessario effettuare una valutazione medica approfondita. Spesso vengono associate al ricovero ospedaliero e all’esecuzione di indagini specialistiche, oltre che alla somministrazione di terapie adatte alla causa riconosciuta dell’ipotensione.

Isorbide dinitrato

Isorbide dinitrato

 

Si impiega per prevenire l’angina causata da malattie cardiache; non è invece indicato nella cura di attacchi acuti di angina.

 

Che cos’è l’isosorbide dinitrato?

Esso esplica la sua azione rilassando i vasi sanguigni, consentendone così la dilatazione. In questo modo favorisce il flusso sanguigno, riducendo il carico di lavoro del cuore e le sue conseguenti richieste di ossigeno. Il risultato finale è la riduzione dei dolori al petto.

 

Come si assume l’isosorbide dinitrato?

Si somministra per via orale – a stomaco vuoto – con un bicchiere d’acqua. Può essere prescritto sia da solo che in combinazione con altri farmaci.

 

Effetti collaterali dell’isosorbide dinitrato

Può causare quotidiani mal di testa, soprattutto all’inizio del trattamento. Può anche interagire con i risultati di alcune analisi di laboratorio.

Fra gli altri suoi possibili effetti collaterali sono inclusi:

capogiri

arrossamenti a volto e collo

mal di testa

sensazione di testa leggera

 

È bene rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

svenimenti

battito accelerato o rallentato

senso di nausea

nuovo dolore al petto o peggioramento di quello preesistente

conati di vomito

 

Controindicazioni e avvertenze

E’ controindicato in caso di assunzione di riociguat, sildenafil, tadalafil, avanafil o vardenafil.

Prima di assumerlo è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri farmaci, ad altre sostanze o ad alimenti

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (in particolare avanafil, sildenafil, tadalafil, riociguat e vardenafil)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di ipertiroidismo, emorragie cerebrali, problemi cardiaci o anemia

in caso di recenti traumi cranici

in caso di donne gravide o in fase di allattamento al seno

Se assunto per lunghi periodi, il medicinale può indurre tolleranza e dipendenza.

La cura può anche alterare le capacità di guida o manovra di macchinari pericolosi; tale effetto collaterale può essere aggravato dall’assunzione di alcol e da alcuni medicinali. Inoltre la febbre, il caldo, gli alcolici e l’attività fisica possono aumentare i capogiri indotti dal farmaco; per questo motivo è opportuno prestare la massima attenzione quando ci si alza da posizione sdraiata o seduta, soprattutto al mattino.

Isossisuprina

Isossisuprina

 

Viene utilizzata per migliorare il flusso sanguigno, in presenza di problemi come l’arteriosclerosi obliterante, l’insufficienza vascolare cerebrale, e la sindrome di Raynaud.

 

Che cos’è l’isossisuprina?

E’ un vasodilatatore che promuove il rilassamento e la dilatazione dei vasi sanguigni nei tessuti, aiutando così a migliorare il flusso sanguigno.

 

Come si assume l’isossisuprina?

Si somministra via bocca.

 

Effetti collaterali dell’isossisuprina

È importante rivolgersi subito ad un medico nel caso in cui il farmaco scateni i sintomi di una reazione allergica, come:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

E’ controindicata in caso di emorragie, durante il travaglio e qualora si sia appena partorito.

 

Prima dell’assunzione è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di problemi emorragici

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

 

Può alterare le capacità di guida o di manovra di macchinari pericolosi; tale effetto collaterale può essere aggravato dall’assunzione di alcol e da alcuni medicinali.

È sempre importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti che si sta assumendo tale farmaco.

Itopride

Itopride

 

S’impiega per trattare disturbi gastrointestinali come nausea, dispepsia, reflusso gastroesofageo e vomito.

Trova altresì utilizzo come terapia alternativa nei casi di anoressia e bruciori di stomaco.

 

Che cos’è l’itopride?

E’ un farmaco entiemetico e antinausea che agisce come antagonista del recettore D2 per la dopamina e inibendo l’enzima acetilcolinesterasi; in tal modo promuove un aumento della concentrazione del neurotrasmettitore acetilcolina il cui effetto finale è la contribuzione allo svuotamento dello stomaco.

 

Come si assume l’itopride?

Si assume via bocca, in genere sotto forma di compresse o capsule.

 

Effetti collaterali dell’itopride

Fra i suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

capogiri

tremori vari

trombocitopenia

leucopenia

mal di testa

scariche di diarrea

stato di costipazione

arrossamenti

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

E’ sconsigliato in presenza di Parkinson o emorragie gastrointestinali. Non dovrebbe altresì essere assunto da neonati e donne incinte, in età pediatrica e da pazienti con malfunzionamenti renali o epatici.

Prima di assumerlo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di emorragie gastrointestinali, problemi epatici o renali o Parkinson

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Kefir

Kefir

 

Che cos’è il kefir?

Il kefir è una bevanda fermentata di origine caucasica. Si può ricavare partendo da una base di latte o di altri liquidi, aggiungendo fermenti lattici e lieviti.

 

Che proprietà nutrizionali ha il kefir?

100 grammi di kefir da latte a basso contenuto di grassi apportano:

41 Calorie

90,07 g di acqua

3,79 g di proteine

0,93 g di lipidi, fra cui 0,658 g di grassi saturi, 0,310 g di grassi monoinsaturi, 0,053 g di grassi polinsaturi e 0,037 g di grassi trans

5 mg di colesterolo

4,48 g di carboidrati disponibili

569 UI di vitamina A

0,2 mg di vitamina C

0,150 mg di niacina

0,135 mg di riboflavina

0,058 mg di vitamina B6

0,03 mg di tiamina

0,02 mg di vitamina E

13 µg di folati

1 µg di vitamina D (41 UI)

0,29 µg di vitamina B12

0,1 µg di vitamina K

164 mg di potassio

130 mg di calcio

105 mg di fosforo

40 mg di sodio

12 mg di magnesio

0,61 mg di zinco

0,04 mg di ferro

 

Il kefir può contenere alcol se viene ricavato da lieviti (in genere dallo 0,05 al 2%).

 

Possibili effetti collaterali del kefir

Potrebbe verificarsi un’interferenza tra il consumo di kefir a base di latte e l’assunzione della ciprofloxacina o delle tetracicline. È consigliabile consultare il proprio medico in caso di dubbi.

 

Stagionalità del kefir

Il kefir è disponibile tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Del kefir sono note soprattutto le sue proprietà rinfrescanti. Grazie alla fermentazione, poi, risulta essere un prodotto facilmente digeribile, capace di favorire la salute dell’intestino: contribuisce ad alleviare i sintomi intestinali, facilita la motilità intestinale, riduce la flatulenza e può essere d’aiuto per la salute della flora intestinale.

Dal punto di vista nutrizionale il kefir ricavato partendo da una base di latte rappresenta una fonte di proteine di buona qualità e dall’effetto saziante. Inoltre contiene una grande quantità di vitamine e minerali che contribuiscono a mantenere in salute il sistema immunitario, a stimolare il buon funzionamento del metabolismo e a proteggere la salute di ossa e denti. Infine, sembra che riesca a svolgere un’azione dall’effetto rilassante sul sistema nervoso; potrebbe dunque contribuire a contrastare problemi di insonnia e disturbi dell’umore, se assunto all’interno di una dieta varia, equilibrata e sana.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Ketorolac

Ketorolac

 

Si utilizza per il trattamento a breve termine (al massimo 5 giorni) del dolore di entità grave-moderata. È ad esempio indicato dopo interventi chirurgici.

 

Che cos’è il ketorolac?

Si tratta di un farmaco antinfiammatorio non steroideo (Fans). Il suo esatto meccanismo di funzionamento non è ancora noto, ma si ritiene che blocchi l’azione di sostanze associate all’infiammazione. In ogni caso non agisce sulle cause di quest’ultima: aiuta solo a ridurre suoi sintomi, in particolare il dolore.

 

Come si assume il ketorolac?

Può essere somministrato via bocca, mediante iniezioni intramuscolari o infusioni direttamente in vena oppure sotto forma di spray nasale.

Può essere prescritto o da solo o in combinazione con altri medicinali.

 

Effetti collaterali del ketorolac

Può aumentare il rischio di gravi problemi al cuore o ai vasi sanguigni.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

senso di nausea

dolore al sito di iniezione

sensazione di avere lo stomaco pieno

sudorazione

conati di vomito

mal di testa

indigestione

lievi fastidi allo stomaco

stato di costipazione

scariche di diarrea

capogiri

sensazione di sonnolenza

gas

 

È importante ricorrere subito alle cure di un medico in caso di:

rash

orticaria

difficoltà a respirare

diarrea o vomito forti

fiato corto

improvviso o inspiegabile aumento di peso

gonfiore di braccia, mani, gambe o piedi

lividi o emorragie

insoliti dolori muscolari o articolari

insolite debolezza o stanchezza

sbalzi d’umore o cambiamenti del comportamento

piaghe in bocca

intorpidimento di un braccio o di una gamba

debolezza di un singolo lato del corpo

persistenti sintomi simil-influenzali

cute arrossata, gonfia, con vesciche o che si desquama

acufeni

sintomi convulsivi

mal di testa o capogiri severi

mal di stomaco o nausea forti o persistenti

senso di pesantezza, oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

insolita raucedine

feci scure o sangue nelle feci

sangue nelle urine o urina torbida o scura

minzione difficoltosa o variazioni della quantità di urina prodotta

stato di confusione

sintomi depressivi

svenimenti

battito accelerato o irregolare

febbre, brividi o mal di gola persistente

stati di allucinazione

problemi alla vista o al linguaggio

vomito che sembra caffè

ittero

 

Controindicazioni e avvertenze

Può essere controindicato nel caso si assuma pentossifillina, probenecid, aspirina o altri Fans. Non dovrebbe essere somministrato durante gli ultimi tre mesi della gravidanza, né durante l’allattamento, in presenza di emorragie cerebrali o se si è a rischio emorragie, prima di interventi chirurgici, in caso di problemi renali o se si è a rischio di scompenso renale, in presenza di una storia di ulcere o di gravi problemi gastrointestinali e in caso di bypass coronarico.

Prima della cura è consigliabile informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco (in particolare all’aspirina o ad altri Fans), ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (citando in particolare anticoagulanti, SSRI, probenecid, ciclosporina, litio, metformina, metotressato, Fans per via orale, chinoloni, ACE inibitori, paracetamolo, aspirina, clopidogrel, corticosteroidi, eparina, pentossifillina e diuretici)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di problemi renali o epatici, diabete, polipi nasali, infiammazioni della bocca, pressione alta, malattie del sangue, emorragie, disturbi della coagulazione, malattie cardiovascolari, disturbi gastrointestinali, gonfiori o ritenzione idrica, ipovolemia e bassi livelli ematici di sodio

in caso di cattive condizioni di salute

in caso di disidratazione

se si bevono sostanze alcoliche

se si ha una storia di abuso di alcol

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

L’assunzione di ketorolac può compromettere le capacità di guida e di manovra di macchinari pericolosi; tale effetto indesiderato può essere aggravato dall’alcol e da alcuni medicinali.

Lanreotide

Lanreotide

 

S’impiega nel trattamento dell’acromegalia e dei tumori neuroendocrini del tratto gastrointestinale o del pancreas.

 

Che cos’è il lanreotide?

Si tratta di un analogo della somatostatina che riduce i livelli ematici di alcuni ormoni (ad esempio, l’ormone della crescita.

 

Come si assume il lanreotide ?

Di solito si somministra mediante iniezioni.

 

Effetti collaterali del lanreotide

Può causare aumenti o riduzioni del livello di zuccheri nel sangue.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

stato di costipazione

scariche di diarrea

meteorismo

mal di testa

dolori a livello articolare

lievi dolori o fastidi allo stomaco

dolori a livello muscolare

senso di nausea

conati di vomito

calo di peso

dolore, prurito o bozzi al punto di iniezione

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

appannamento della vista

sintomi depressivi

capogiri

mal di testa (forti o persistenti)

nausea, mal di stomaco o vomito (forti o persistenti)

battito rallentato o irregolare

calcoli alla cistifellea

eccessive stanchezza o debolezza

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima dell’assunzione è importante informare il curante:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze (in particolare al lattice o alla plastica)

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti per il passato (in particolare chinidina, terfenadina, insulina, farmaci che possono rallentare il battito cardiaco, bromocriptina e ciclosporina)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di problemi al fegato, alla tiroide, al pancreas, al rene o al cuore, calcoli o altri problemi alla cistifellea, pressione alta o diabete

in caso di dialisi

in caso di donne gravide o in fase di allattamento al seno

Il lanreotide può alterare le capacità di guida o di manovra di macchinari pericolosi.

Laparoscopia dell’ovaio

Laparoscopia dell’ovaio

 

Il trattamento per tumore dell’ovaio in età giovanile o in età fertile (tumore ovarico “borderline”) può essere affrontato per via laparoscopica asportando non solo la malattia dall’ovaio (cisti ovarica complessa) ma anche i tessuti dove più frequentemente si possono formare metastasi (appendice, omento peritoneo).

L’approccio laparoscopico per questo tumore è dimostrato essere sicuro e nella maggior parte dei casi il taglio sull’addome è superfluo.

 

L’intervento prevede la conservazione dell’ovaio e dell’utero.

Laparoscopia ginecologica

Laparoscopia ginecologica

 

E’ una tecnica chirurgica che non prevede l’incisione estesa della parete addominale, ma piccole incisioni pari a circa 5 millimetri. Attraverso le incisioni vengono introdotti gli strumenti laparoscopici, identici a quelli usati per la chirurgia tradizionale, ma miniaturizzati. Diventa quindi possibile incidere, coagulare, posizionare clips emostatiche e altro.

 

La tecnologia si è evoluta a tal punto da consentire di eseguire l’esecuzione di interventi complessi quali la resezione del retto per endometriosi, l’asportazione di uteri anche con voluminosi fibromi, cisti ovariche di qualsiasi natura o quelli oncologici dove risulta saltuariamente necessario rimuovere anche i linfonodi pelvici e lombo-aortici.

 

La chirurgia laparoscopica è indicata per:

-patologia delle ovaie e salpingi

-endometriosi

-patologia dell’utero

-prolasso genitale e incontinenza urinaria

-isteroscopia

 

Lapatinib

Lapatinib

 

S’impiega per trattare alcune forme avanzate o metastatiche di tumore al seno.

 

Che cos’è il lapatinib?

Questo farmaco inibisce l’azione di enzimi che promuovono la crescita delle cellule tumorali.

 

Come si assume il lapatinib?

Viene somministrato via bocca in combinazione con altri farmaci (capecitabina o letrozolo). Deve essere assunto almeno un’ora prima o dopo i pasti.

 

Effetti collaterali del lapatinib

Può causare la necrolisi epidermica tossica.

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati si possono includere:

scomparsa dell’appetito

assottigliamento o perdita dei capelli

piaghe alla bocca

senso di nausea

epistassi

arrossamenti o pizzicore a mani e piedi

sensazione di stanchezza

stato d’insonnia

pelle secca

alterazioni delle unghie

mal di testa

indigestione

conati di vomito

male alla schiena

scariche di diarrea

 

È bene contattare immediatamente un medico in caso di:

capogiri o sensazione di la testa leggera

battito accelerato o irregolare

feci pallide

persistente perdita dell’appetito

tosse grave o persistente

diarrea, nausea, vomito, crampi o dolori allo stomaco (gravi o persistenti)

forti dolore, arrossamento o gonfiore di mani o piedi

gravi stanchezza o debolezza

fiato corto

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza, oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

urine scure

lividi o emorragie

ittero

 

Controindicazioni e avvertenze

E’ controindicato nel caso in cui sia stato già assunto in passato, scatenando problemi epatici nonchè nel caso di alterazione dei livelli ematici di potassio o magnesio.

Prima di assumerlo è fondamentale informare il medico:

circa la presenza di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri farmaci, ad altre sostanze o ad alimenti

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato, in particolare antifungini azolici, nefazodone, inibitori della proteasi, voriconazolo, carbamazepina, dexametasone, idantoine, nevirapina, fenobarbital, primidone, calcio antagonisti, farmaci contro la depressione, problemi cardiaci, farmaci che possono aumentare il rischio di prolungamento dell’intervallo QT (antiaritmici, arsenico, metadone, paliperidone, pentamidina, fenotiazine, pimozide, chinoloni, romidepsina, tacrolimus, terfendadina, toremifene, astemizolo, bepridile, clorochina, cisapride, dofetilide, dolasetron, domperidone, droperidolo, alofantrina, aloperidolo, iloperidone, ketolidi, macrolidi, maprotilina, alcuni antidepressivi triciclici, vandetanib e ziprasidone), atazanavir, rifamicine, iperico, digossina, midazolam e paclitaxel

se in passato si ha assunto un’antraciclina

se si soffre (o si è sofferto nel pregresso) di problemi al fegato, al cuore o ai polmoni, battito cardiaco irregolare, problemi al midollo osseo, globuli bianchi o piastrine bassi, o livelli ematici di potassio o magnesio bassi

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Durante la cura non bisogna mangiare pompelmo o berne il succo. Le donne in età fertile non devono inoltre utilizzare efficaci metodi contraccettivi.

È importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti dell’assunzione di lapatinib.