Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

 

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto è una procedura di intervento conservativo alla quale si ricorre quando i difetti dell’articolazione coxofemorale sono particolarmente gravi o, per la loro natura, non possono essere trattati in artroscopia con la stessa probabilità di successo.

Che cos’è la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica alternativa all’artroscopia perché prevede un accesso chirurgico più ampio. È quindi una tecnica più invasiva che, tuttavia, si rende necessaria quando i difetti dell’articolazione coxofemorale hanno una particolare complessità.

Come funziona la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto viene eseguita con diverse tecniche. Generalmente viene creato un accesso chirurgico eseguendo un taglio che preservi il più possibile i muscoli. Successivamente si procede alle manovre ossee che servono a correggere la deformità specifica del paziente, sia essa una displasia, un conflitto o qualunque altra deformità congenita o acquisita. L’intervento viene eseguito cercando di danneggiare il meno possibile i vasi sanguigni che nutrono l’osso.

Quali sono i vantaggi della chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica che consente una più ampia capacità correttiva e maggiore precisione, permettendo al chirurgo di visualizzare l’articolazione e di operare con maggiore libertà. Per contro il trattamento è più invasivo dell’artroscopia, determina una maggiore perdita di sangue, una ferita più ampia, un tempo di guarigione e di ritorno al movimento più lungo.

Quali pazienti possono effettuare  la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

Il paziente candidato alla chirurgica a cielo aperto viene attentamente selezionato in base ad alcuni specifici parametri basati sulla gravita e complessità dei difetti all’articolazione.

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane è dolorosa o pericolosa?

L’intervento chirurgico a cielo aperto viene eseguito in anestesia generale. Il post-operatorio può essere doloroso e quindi viene impostata una adeguata terapia analgesica importante atta a rendere il dolore controllato e del tutto tollerabile dal paziente. I rischi legati all’intervento chirurgico includono: infezioni, trombosi venosa profonda, emorragia, osteonecrosi (ischemia del tessuto osseo), danni vascolari e neurologici e rischi collegati all’anestesia.

Sono previste norme di preparazione?

È importante continuare a mantenere un’attività fisica costante compatibilmente con il dolore. Circa un mese prima dell’intervento vengono eseguiti tutti gli accertamenti preliminari. In assenza di controindicazioni si procede con il predeposito del sangue, vale a dire con il prelievo in diversi momenti del sangue del paziente per riutilizzarlo al momento dell’operazione.

Una settimana prima dell’intervento viene chiesto di sospendere alcuni farmaci che impediscono la normale coagulazione del sangue, ad esempio l’aspirina.  In vista dell’operazione, è necessario munirsi di vestiti comodi, ad esempio una tuta, calzature con la suola di gomma a tacco basso e stampelle. Il giorno dell’intervento bisogna essere a digiuno dalla mezzanotte precedente. Dopo l’intervento sono necessarie calze elastiche antitrombo.

Follow up

È necessario seguire la profilassi antitrombotica con eparina nei 30-40 giorni successivi l’intervento. Prima dell’intervento il paziente viene istruito sugli esercizi per il recupero articolare e muscolare che verranno riproposti durante la fase di riabilitazione e che in un secondo momento il paziente potrà eseguire da solo a casa.

La rimozione dei punti viene solitamente eseguita dopo due settimane. Al paziente viene indicata la data del primo controllo e successivamente dovrà eseguire una radiografia e una visita ortopedica ogni 1 o 2 anni per verificare la funzionalità dell’articolazione e l’integrità della protesi.

 

Chirurgia protesica dell’anca

Chirurgia protesica dell’anca

 

La chirurgia protesica dell’anca permette di intervenire nei casi più avanzati di degenerazione dell’articolazione per i quali sono controindicati o non hanno avuto successo i trattamenti conservativi.

Che cos’è la chirurgia protesica dell’anca?

L’intervento di protesi totale d’anca consiste nella sostituzione completa dell’articolazione utilizzando delle protesi in metallo. Attualmente le protesi maggiormente utilizzate sono costruite in lega di titanio, ma possono anche venire cementate all’osso protesi di differenti leghe metalliche.

Il “cuore” della protesi, cioè lo snodo sottoposto al movimento (e quindi all’usura) non è in titanio e può essere composto da diversi materiali: leghe di cromo-cobalto, ceramica, oppure accoppiamenti di questi materiali con il polietilene.

Ad oggi tutte le protesi sono modulari, cioè formate da parti distinte che vengono assemblate al momento per adattarsi meglio all’anatomia del singolo paziente ed evitano, qualora ve ne fosse la necessità, di sostituire tutto l’impianto. In particolare nell’impiantare la protesi in un paziente giovane si mira a evitare l’utilizzo del cemento e si cerca di preservare il più possibile il tessuto osseo, preferendo protesi “a incastro” appositamente progettate.

Un’alternativa alla sostituzione totale consiste nel rivestimento della testa del femore con la protesi senza asportarla. Tale soluzione è però indicata solo in una stretta minoranza di casi.

Nel giovane si pone molta attenzione al posizionamento di protesi di piccole dimensioni, al maniacale approccio nel posizionamento delle componenti per garantire la perfetta riproduzione dei parametri biologici articolari, a ridurre i tempi di usura dell’impianto, e alla scelta di materiali che permettano lunga durata.

Come funziona la chirurgia protesica dell’anca?

Prima dell’intervento viene eseguita e valutata una radiografia per programmare la fase preoperatoria. In questo momento il chirurgo sceglie la protesi.

L’intervento viene praticato in genere in anestesia peridurale, ma in relazione al caso è facoltà dell’anestesista la scelta della soluzione migliore. La tecnica chirurgica si avvale anche dell’approccio mini-invasivo con tagli cutanei piccoli, riducendo al massimo l’impatto sui muscoli.

La via di accesso all’anca è la postero-laterale che ha il vantaggio di risparmiare gli abduttori dell’anca (muscoli piccolo e medio gluteo), ma in alcuni casi particolari il chirurgo si avvale di altre vie di accesso.

L’intervento è seguito da una breve degenza in ospedale (in media 15 giorni): durante i primi due giorni di riposo a letto in posizione supina con cuscino divaricatore fra le gambe vengono eseguiti esercizi di mobilizzazione passiva e attiva. In caso di necessità il paziente può stare in posizione eretta più precocemente (un giorno). È importante nella fase postoperatoria un relativo “isolamento” del paziente per evitare infezioni.

Quali sono i vantaggi della chirurgia protesica dell’anca?

L’impianto di una protesi d’anca è considerata un’alternativa a cui ricorrere quando non sono possibili i trattamenti conservativi o quando questi ultimi non hanno avuto successo. L’affermarsi di materiali tecnologicamente sempre più avanzati e procedure chirurgiche innovative hanno considerevolmente migliorato i risultati di questo tipo di intervento, i cui punti deboli restano il rischio di rottura o di lussazione della protesi, la permanenza della cicatrice.

Quali pazienti possono effettuare la chirurgia protesica dell’anca?

Il paziente candidato alla chirurgica protesica viene attentamente selezionato in base ad alcuni specifici parametri: entità del fenomeno degenerativo, età, impatto sulla qualità della vita, condizioni di salute.

Le protesi di rivestimento della testa femorale vengono preferite in pazienti giovani, specie se di sesso maschile, non affetti da allergie e in assenza di necrosi della testa femorale o deformità articolari (morbo di Perthes, epifisiolisi, esiti traumatici dell’anca, conflitto femoro-acetabolare, displasia dell’anca, difetti di antiversione dell’acetabolo o di torsione del collo femorale).

Nel caso di trattamenti chirurgici con tecnica mini-invasiva il paziente selezionato non deve essere in sovrappeso, non deve avere masse muscolari non eccessivamente sviluppate, non deve aver avuto episodi recenti di trombosi venosa profonda, non deve avere scompensi cardiocircolatori.

La chirurgia protesica dell’anca è dolorosa o pericolosa?

L’intervento viene praticato normalmente in anestesia epidurale. Il paziente non avverte dolore durante l’intervento. Fatta eccezione per le prime fasi del decorso postoperatorio in cui la ferita chirurgica unita agli effetti dell’anestesia può procurare dolore e malessere al paziente, il dolore tende a scomparire già nei primi giorni. La permanenza del dolore all’anca è un’ipotesi rara.

I rischi legati all’intervento chirurgico includono: infezioni, trombosi venosa profonda, emorragia, osteonecrosi, danni vascolari e neurologici, i rischi collegati all’anestesia.

Con l’utilizzo delle tecniche mini-invasive si esegue sempre il posizionamento di una protesi completa di tipo tradizionale riducendo al minimo il trauma chirurgico, con una minor durata del ricovero e tempi di recupero più rapidi.

Sono previste norme di preparazione?

È importante, prima dell’intervento, continuare a svolgere un’attività fisica costante compatibile con il dolore. Circa un mese prima dell’intervento vengono eseguiti tutti gli accertamenti preliminari. In alcuni casi selezionati dall’anestesista si procede con il predeposito del sangue, vale a dire con il prelievo in diversi momenti del sangue del paziente per riutilizzarlo durante l’operazione.

Una settimana prima dell’intervento viene chiesto di sospendere alcuni farmaci che impediscono la normale coagulazione del sangue come l’aspirina. In vista dell’operazione è necessario munirsi di vestiti comodi, ad esempio una tuta, calzature con la suola di gomma e tacco basso, e di stampelle.

Il giorno dell’intervento bisogna essere a digiuno dalla mezzanotte precedente.

Dopo l’intervento sono necessarie calze elastiche antitrombo.

Follow up

È necessario seguire la profilassi antitrombotica con Eparina per 30-40 giorni dopo l’intervento.

Prima dell’intervento il paziente viene istruito sugli esercizi per il recupero articolare e muscolare che verranno riproposti durante la fase di riabilitazione e che in un secondo momento il paziente potrà eseguire da solo anche a casa.

La rimozione dei punti viene solitamente eseguita dopo due settimane. Al paziente viene indicata la data del primo controllo e successivamente dovrà eseguire una radiografia e una visita ortopedica ogni 1 o 2 anni per verificare la funzionalità dell’articolazione e l’integrità della protesi.

 

Ginnastica propriocettiva

Ginnastica propriocettiva

Nei casi più gravi di distorsione alla caviglia, il recupero progressivo della flessione e dell’estensione iniziano prima di appoggiare il piede a terra, per evitare rigidità e per riguadagnare elasticità a livello di muscoli e tendini. L’appoggio con peso progressivo del piede a terra è la seconda tappa riabilitativa. Di solito è attuata dal paziente autonomamente e nella fase finale prevede l’uso delle stampelle solo per salire e scendere le scale, in quanto questa attività è ancora difficile da eseguire con scioltezza.

Un ruolo che potremmo definire di rifinitura a tutto il processo riabilitativo è affidato alla cosiddetta ginnastica propriocettiva. Poco conosciuta e considerata, questa tipologia di ginnastica può essere l’elemento di distinzione tra una caviglia che funziona discretamente o bene per attività di vita quotidiana e una caviglia che torna a sopportare le sollecitazioni sportive senza dolore. La ginnastica propriocettiva è utilizzata recuperare quella che potremmo chiamare sensibilità articolare, cioè quella capacità di rispondere adeguatamente agli stimoli variabili che provengono sia dal terreno sia dall’attività sportiva in carico (cambi di direzione, arresti improvvisi, salti, contrasti con gli avversari). Viene eseguita con tavolette dette “tipo surf”, costruite sia per essere utilizzate con entrambi i piedi (bipodaliche), sia con un piede solo (monopodaliche). Su queste tavolette, che sono instabili o basculanti, va ricercato ed allenato l’equilibrio della caviglia; si deve iniziare da seduti prima di lasciare le stampelle e quindi proseguire in piedi quando viene concesso il carico. Le prime volte è consigliabile avere l’assistenza di un fisioterapista.

Onde d’urto

Onde d’urto

 

Le onde d’urto focali, introdotte in medicina agli inizi degli anni novanta per la cura dei calcoli renali (litotripsia urologica), da più di un decennio vengono impiegate anche per curare molte patologie dell’apparato muscolo scheletrico (tendini ed ossa principalmente).

Metodica non invasiva, le onde d’urto sono in molti casi una valida opzione terapeutica per la cura di molte patologie (anche in fase acuta) grazie alle sue proprietà benefiche di tipo antinfiammatorio, antidolorifico ed “anti-edema” (cioè per contrastare il “gonfiore”), nonché per stimolare la riparazione tissutale. In tempi più recenti, infatti, si sono mostrate efficaci anche nell’ambito della rigenerazione cutanea, accelerando il processo di guarigione di piaghe, ulcere e ferite “difficili” di varia origine, anche post-traumatica.

Che cosa sono le onde d’urto?

Le onde d’urto sono onde acustiche (impulsi sonori di natura meccanica), prodotte da appositi generatori (i litotritori), ed in grado poi di propagarsi nei tessuti in sequenza rapida e ripetuta.

Sono caratterizzate da una particolare forma d’onda (prima fase di pressione positiva, seguita da una altrettanto rapida fase, meno ampia, di pressione negativa), che le differenzia dagli ultrasuoni e che, nel suo complesso, è responsabile degli effetti biologici positivi applicabili in campo terapeutico.

A livello microscopico, la stimolazione con le onde d’urto è paragonabile ad una sorta di “micro-idromassaggio” profondo sui tessuti e sulle cellule in grado di indurre queste ultime a reagire positivamente, con produzione di sostanze ad azione antinfiammatoria e di fattori di crescita che stimolano la rigenerazione dei tessuti stessi, a partire dalle cellule staminali.

Questo tipo di stimolazione meccanica può in molti casi essere applicata con successo (in associazione con altre terapie codificate) anche per la riduzione dell’ipertono muscolare in condizioni di spasticità di diversa origine, sia degli arti inferiori che superiori, seppur con meccanismo d’azione parzialmente ancora ignoto.

Grazie a questi effetti biologici di base da più di un decennio l’uso delle onde d’urto si è ampiamente diffuso, dal campo urologico all’ambito ortopedico, fisiatrico e riabilitativo, ma con sostanziali differenze legate al fatto che si agisce su tessuti viventi e non su concrezioni calcifiche non vitali (come invece i calcoli).

Ben tollerate, non invasive, ripetibili e di grande efficacia clinica, le onde d’urto focali, in taluni casi opportunamente selezionati, si dimostrano essere anche un’alternativa all’intervento chirurgico, oppure una soluzione per la cura dei postumi di un trauma o di un intervento chirurgico stesso.

Inoltre:

-le onde d’urto focali possono agire in modo sinergico (cioè di rinforzo) con altre terapie, o anche di potenziamento ed accelerazione dei risultati attesi da un intervento chirurgico;

-il trattamento con onde d’urto eseguito in prima istanza non preclude la possibilità di poter poi intervenire con altre soluzioni terapeutiche (ad esempio chirurgiche).

 

Le modalità di esecuzione della terapia con onde d’urto sono differenti a seconda che si tratti di patologie ossee, patologie tendinee e muscolari, spasticità o patologie cutanee.

La durata di ogni seduta può variare dai 10-15 minuti nel caso di applicazioni sui tessuti “molli” (tendini, muscoli e cute) a tempi maggiori (fino ad un’ora) per i trattamenti sull’osso.

Il paziente viene generalmente fatto accomodare in posizione supina sul lettino o seduta. Durante tutta la durata della terapia il paziente è sotto costante e diretto controllo medico, in modo da modificare il livello di energia anche in funzione della sensibilità del paziente.

 Le onde d’urto sono sicure ed efficaci

Il trattamento con onde d’urto focali è una metodica non invasiva, ambulatoriale, sicura e di comprovata efficacia. La terapia è pressoché priva di effetti collaterali di rilievo clinico e ben tollerata (se correttamente eseguita), oltre che ripetibile. I vantaggi che ne derivano per il paziente sono ormai internazionalmente riconosciuti e comprovati da circa 15 anni di esperienza nella pratica clinica quotidiana.

 Le tecnologie in Humanitas

L’Istituto Clinico Humanitas, centro di riferimento regionale e nazionale di alta specializzazione per il trattamento con onde d’urto focali, dispone di due litotritori di ultimissima generazione grazie ai quali è possibile eseguire tutti i tipi di trattamento attualmente contemplati dalle linee guida nazionali ed internazionali. I due litrotritori presenti a disposizione sono:

-il litotritore con generatore elettromagnetico (indicato per i trattamenti sia ad alta energia sull’osso, sia a più bassa energia, eseguiti sui “tessuti molli” e in particolare sui tendini)

-il litotritore con applicatore “defocalizzato” (indicato per il trattamento di tendini, muscoli, ulcere, “ferite difficili” e cicatrici chirurgiche dolorose).

 

Follow up

Il trattamento con onde d’urto focali può, in taluni casi, avere un effetto antidolorifico immediato, ma questo non costituisce la regola. In genere, i benefici si manifestano progressivamente con il passare delle settimane. Per poter correttamente valutare l’efficacia della terapia, è consigliabile un periodo di follow up di circa 2-3 mesi. In questo periodo saranno indicati l’astensione dall’attività sportiva ed il riposo.

Inoltre, nel caso di trattamenti eseguiti per problemi di consolidazione ossea (per esempio nelle pseudoartrosi), poiché è fondamentale la stabilità meccanica per la guarigione, potrà essere prescritto un tutore di immobilizzazione dell’arto, o l’uso di stampelle.

Il trattamento con onde d’urto focali si rivela efficace nella cura di molte patologie a carico delle ossa e dei tessuti “molli” (tendini, legamenti), grazie alle sue proprietà benefiche di tipo antinfiammatorio, antidolorifico ed “antiedema” (cioè per contrastare il “gonfiore”), nonché per stimolare la riparazione tissutale:

-trattamento con le onde d’urto contro le calcificazioni

-modulazione delle onde d’urto per le patologie infiammatorie in fase acuta (cioè di più recente insorgenza e già di per sé stesse molto dolorose)

-trattamento con onde d’urto per la rigenerazione dei tessuti (per la cura di ulcere cutanee di varia origine e patologie affini).

-trattamento con onde d’urto per la cura delle fratture.

Le onde d’urto sono dolorose o pericolose?

NO, se eseguite secondo i protocolli terapeutici codificati e con apparecchiature idonee sono generalmente ben tollerate. Soprattutto se si tratta di trattamenti per patologie dei tessuti “molli” (tendini e legamenti).

In alcuni casi, se il paziente dovesse avvertire un leggero fastidio, il medico può comunque dosare l’intensità dell’energia ed il numero di colpi applicati, per far sì che il trattamento venga meglio tollerato e sia comunque efficace. Inoltre, alcuni protocolli terapeutici prevedono un aumento progressivo dell’energia applicata, in modo da consentire al paziente di adattarsi senza troppa difficoltà.

Nel caso di trattamenti sull’osso, per cui si applicano energie maggiori e per una durata di tempo superiore, è possibile che il dolore risulti più intenso e che sia necessario ricorrere ad anestesia locale.

Trattandosi di terapia non invasiva, è sicura e pressoché priva di effetti collaterali di rilievo.

In genere, possono verificarsi dopo applicazione di alte energie:

-piccoli ematomi, petecchie ed ecchimosi superficiali e di breve durata;

-risveglio temporaneo della sintomatologia dolorosa. La riacutizzazione del dolore dopo trattamento con onde d’urto non deve essere interpretato come un evento avverso o negativo, ma come una possibile risposta positiva alla stimolazione meccanica sui tessuti.

Il trattamento con onde d’urto focali è una terapia definita “manu-medica”, ossia eseguita dal medico con specifica competenza in materia. Fondamentalmente, di criticità non ve ne sono: come tutti i trattamenti di tipo “biologico”, che implicano una risposta da parte dei tessuti, il risultato (soprattutto per la rigenerazione ossea ed, in minor misura, cutanea) non è immediato, ma si manifesta nel corso dei mesi che seguono alla fine del trattamento stesso.

Va tuttavia precisato che le onde d’urto non sostituiscono in tutti i casi la terapia chirurgica.

Le onde d’urto hanno controindicazioni?

Ad oggi vengono riconosciute le seguenti controindicazioni, distinte in assolute e relative.

Sono controindicazioni assolute:

-la presenza di strutture delicate e sensibili, come encefalo, midollo spinale e gonadi nel campo focale;

-la presenza di patologie tumorali e di tromboflebiti dove si dovrebbero applicare le onde d’urto;

-la gravidanza

-la presenza di organi cavi (es. polmone ed intestino) nel campo focale (nel passaggio infatti dell’onda sonora dal mezzo solido a quello gassoso si potrebbero verificare lesioni dei tessuti).

Sono considerate controindicazioni relative:

-la presenza di Pace Maker o elettrostimolatori di diversa origine (in particolare per i pazienti portatori di Pace Maker, si dovrà porre attenzione a quale tipo di generatore utilizzare);

-la vicinanza di cartilagini ancora in fase di accrescimento (in realtà ormai questa viene considerata più una precauzione che una vera controindicazione, poiché in numerosi studi sperimentali è stata dimostrata l’assenza di effetti lesivi)

-le malattie o le alterazioni della coagulazione del sangue (coagulopatie con tendenza al sanguinamento): in tali casi, il medico valuterà per ogni singolo paziente l’idoneità o meno al trattamento, ed eventualmente anche il tipo di strumentazione da utilizzare.

 

Risponde la Dott.ssa Cristina D’Agostino:

Le onde d’urto focali sono molto dolorose?

Le onde d’urto focali provocano ematomi anche cospicui?

Le onde d’urto focali sono ripetibili?

Le onde d’urto focali possono essere applicate nelle patologie in fase acuta?

Le onde d’urto focali sono indicate in tutte le patologie ortopediche?

Le onde d’urto focali sono radiazioni ionizzanti?

Le onde d’urto focali possono essere applicate solo in presenza di calcificazioni?

Esiste il rischio di lesione ad ossa, tendini, nervi o altre strutture anatomiche?

Le onde d’urto possono essere prescritte anche “a scopo preventivo”?

Le onde d’urto focali possono in alcuni casi essere considerate l’ultima soluzione prima dell’ intervento chirurgico?

L’effetto terapeutico delle onde d’urto e’ immediato?

E’ vero che le onde d’urto focali possono essere utilizzate anche per la rigenerazione dei tessuti cutanei?

 

Onde d’urto contro le calcificazioni

Onde d’urto contro le calcificazioni

 

La terapia con onde d’urto non viene applicata per “rompere o frantumare” le calcificazioni di tendini, legamenti ed articolazioni, ma per risolvere l’infiammazione e la degenerazione tissutale di cui la calcificazione può essere la conseguenza. In alcuni casi, dopo il trattamento con onde d’urto le calcificazioni possono scomparire, si tratta però di un fenomeno che può richiedere molti mesi e soprattutto si verifica non per frantumazione ma per azione biochimica di scioglimento, legata alla riattivazione della circolazione localmente a livello microscopico.

Il trattamento con onde d’urto in ambito muscolo-scheletrico può quindi essere eseguito indipendentemente dalla presenza o meno di calcificazioni. Ad oggi inoltre non vi sono dati ed esperienze scientifiche che supportino l’indicazione di eseguire onde d’urto, a scopo preventivo, in presenza di calcificazioni tendinee e in pazienti asintomatici (cioè che non lamentano dolore o fastidio).

Onde d’urto modulate per la cura di patologie infiammatorie in fase acuta

Onde d’urto modulate per la cura di patologie infiammatorie in fase acuta

 

Onde d’urto con energie molto basse e modulabili per piccoli incrementi ad ogni livello consentono di trattare anche le patologie infiammatorie in fase acuta (cioè di più recente insorgenza e già di per sé stesse molto dolorose). Questo grazie alla possibilità di utilizzare tecnologie avanzate e di ultimissima generazione.

Questo offre un indubbio vantaggio terapeutico per i pazienti: contrariamente a quanto si possa pensare, le patologie in fase acuta sono le più indicate per questo tipo di cura, poiché il paziente trae maggior giovamento ed in tempi più rapidi, con più veloce recupero e ripristino della funzione articolare.

 

Onde d’urto per la cura delle fratture

Onde d’urto per la cura delle fratture

 

Le onde d’urto a più alta energia sono in grado di riattivare i processi di guarigione dell’osso (osteogenesi riparativa) favorendo ed accelerando la guarigione delle fratture che stentano a saldarsi (pseudoartrosi e ritardi di consolidazione).

Questa metodica risulta estremamente efficace soprattutto per quei pazienti che non hanno ottenuto successo con altre terapie conservative (mediche, farmacologiche e/o fisioterapiche), o addirittura con l’intervento chirurgico.

L’evoluzione delle tecnologie ha permesso di disporre di macchinari (i litotritori) sempre più sofisticati, in grado di colpire l’area interessata in modo estremamente preciso. Questo consente di lavorare con estrema selettività anche su aree molto piccole ed in prossimità di strutture anatomiche importanti (quali vasi e nervi).

 

 

Onde d’urto per la rigenerazione dei tessuti

Onde d’urto per la rigenerazione dei tessuti

 

Mentre in alcuni casi le onde d’urto vengono utilizzate a scopo puramente “palliativo”, per via delle loro proprietà antidolorifiche, in altri casi le onde d’urto focali hanno un vero e proprio effetto “curativo” (guariscono cioè dall’infiammazione e/o rigenerano i tessuti).

Negli anni più recenti infatti, oltre a chiarirsi le modalità di azione antiinfiammatoria, è stata scoperta anche la capacità delle onde d’urto di promuovere la formazione di nuovi piccoli vasi sanguigni (neoangiogenesi), azione indispensabile per la rigenerazione dei tessuti, con possibilità di applicazione pratica nel trattamento delle ulcere cutanee di varia origine e patologie affini (es. ferite “difficili” e perdite di sostanza post-traumatiche).

Nel caso della rigenerazione tissutale, l’applicazione dell’onda d’urto serve ad innescare un processo curativo che si completerà nel corso delle settimane successive. Il risultato è simile a quello ottenuto con un intervento chirurgico, ma con l’indubbio vantaggio di ricevere un trattamento non invasivo.

Onde d’urto: litotritore con applicatore “defocalizzato”

Onde d’urto: litotritore con applicatore “defocalizzato”

 

Oltre alla cura con onde d’urto di tendini e muscoli, questo litotritore permette anche di trattare ulcere, “ferite difficili” e cicatrici chirurgiche dolorose.

È dotato di generatore elettroidraulico di ultima generazione, ed essendo di dimensioni contenute e manovrabile manualmente, consente di muoversi su regioni anatomiche anche ampie, adattandosi alle diverse superfici corporee e trattando eventualmente anche tutti i punti dolorosi, compresi anche i cosiddetti “trigger points”, ovvero punti di particolare concentrazione del dolore.

Inoltre, cambiando il tipo di applicatore (con emissione di onde d’urto defocalizzate), consente di eseguire i diversi tipi di trattamento per stimolare la rigenerazione dei tessuti cutanei (ulcere, “ferite difficili” e cicatrici dolorose).

 

Onde d’urto: litotritore con generatore elettromagnetico

Onde d’urto: litotritore con generatore elettromagnetico

 

Indicato per i trattamenti con onde d’urto sia ad alta energia sull’osso sia a più bassa energia, eseguiti sui “tessuti molli” e in particolare sui tendini, si tratta di un litotritore dotato di un sistema di puntamento di precisione, collegato ad un braccio articolato e movibile in parte automaticamente. Questo consente di puntare il bersaglio da trattare con estrema precisione (es. una pseudoartrosi), aumentando le probabilità di successo della terapia.

Il riconoscimento del “bersaglio” anatomico da trattare può essere eseguito sia tramite controllo ampliscopico (un breve “flash” radiografico), sia tramite controllo ecografico, praticato simultaneamente ed in linea con la direzione di emissione del “fronte” di onde d’urto.

Questo tipo di controllo ecografico, detto “in-line” (poiché il fascio ecografico degli ultrasuoni utile per riconoscere la regione anatomica da trattare è parallelo ed interno alla sorgente di produzione ed avanzamento delle onde d’urto stesse), consente all’operatore di visualizzare istante per istante, con precisione, la posizione di applicazione delle onde d’urto stesse.

 

Riabilitazione da rottura del legamento crociato anteriore

Riabilitazione da rottura del legamento crociato anteriore

 

Dopo la chirurgia di riparazione del legamento crociato anteriore, è essenziale seguire un programma di riabilitazione mirato per assicurare il migliore recupero funzionale del ginocchio. Il recupero articolare e muscolare deve essere impostato e controllato periodicamente dal chirurgo ortopedico che, a sua volta, si avvale dell’ausilio di un fisioterapista. La fase della riabilitazione è delicata perché il paziente deve eseguire una serie di esercizi per rinforzare la muscolatura e recuperare movimento e coordinazione, senza però provocare sovraccarichi che potrebbero allentare o rompere il neo-legamento.

Normalmente il programma riabilitativo dura tre – quattro mesi. Successivamente è consigliabile continuare un programma di esercizi per mantenere la tonicità muscolare e recuperare la coordinazione motoria.

La ripresa sportiva è consigliabile solo dopo il completo recupero articolare e muscolare e, di norma, non è consentita prima di sei mesi dopo l’intervento chirurgico.

Trattamento per il dito a scatto

Trattamento per il dito a scatto

 

Lo scopo del trattamento previsto per la tenosinovite stenosante è di eliminare lo scatto o il blocco del dito e di ripristinarne il normale movimento. Il gonfiore intorno al tendine flessore e alla sua guaina devono essere ridotti per consentire un migliore scorrimento nella puleggia. La somministrazione di antiinfiammatori e l’applicazione di tutori possono essere indicati per ridurre l’infiammazione del tendine. Il trattamento può anche includere il cambiamento delle attività manuali.

Se i trattamenti non chirurgici non migliorano i sintomi può essere indicato un intervento in day hospital. Lo scopo della chirurgia è di aprire la prima puleggia in modo che il tendine possa scorrere liberamente. Il movimento attivo del dito generalmente inizia subito dopo l’intervento e l’uso normale della mano può essere raggiunto in breve tempo.

Trattamento per l’artrosi del ginocchio

Trattamento per l’artrosi del ginocchio

 

A seconda del o dei versanti coinvolti dalla patologia, sono proponibili terapie chirurgiche differenti. Negli ultimi 15 anni sono state sviluppate delle protesi di ginocchio cosiddette monocompartimentali, che hanno lo scopo di rivestire solo il “settore” danneggiato. Si tratta di protesi di piccole dimensioni, dette anche mini-invasive perché impiantabili attraverso incisioni di pochi centimetri. In questo modo si limita anche la perdita di sangue durante l’intervento, riducendo la necessità di trasfusioni. Abitualmente i pazienti sono in grado di alzarsi e camminare, con l’aiuto di 2 stampelle, già il giorno successivo all’intervento. Dopo un breve periodo di riabilitazione, i pazienti sono in grado di riprendere le normali attività, per esempio guidare l’automobile e, poco dopo, anche di praticare sport a basso impatto (nuoto, bicicletta, golf). Nel caso invece in cui l’usura coinvolga più di un compartimento, si parla di artrosi bi- o tricompartimentale. In questi casi la terapia chirurgica richiede l’utilizzo di protesi articolari diverse per forma e dimensioni, le cosiddette protesi “totali”. Quando viene impiantata una protesi totale il recupero post- operatorio è lievemente più lento, ma la ripresa delle comuni attività quotidiane avviene comunque entro 45 giorni dall’intervento. In conclusione, negli ultimi tempi sono stati compiuti notevoli progressi nella comprensione e nel trattamento della patologia artrosica del ginocchio. Siamo ora in grado con terapie mediche, chirurgiche e riabilitative adeguate, di migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti colpiti da questa patologia ed anche di svolgere una prevenzione nei casi diagnosticati precocemente.