Rivaroxaban

Rivaroxaban

 

Si utilizza per prevenire e trattare la formazione di coaguli di sangue. Trova altresì impiego per ridurre il rischio di ictus e per prevenire/curare la trombosi venosa profonda.

 

Che cos’è il Rivaroxaban?

Esso blocca la formazione di coaguli sanguigni, inibendo direttamente il fattore Xa della coagulazione.

 

Come si assume il Rivaroxaban?

Si somministra sotto forma di compresse.

 

Effetti collaterali del Rivaroxaban

Può provocare lievi emorragie.

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

sangue nelle feci o feci scure

variazioni nella produzione di urina o urine scure, rosa o rosse

sangue nell’espettorato

febbre, brividi o mal di gola persistente

rash

prurito

gonfiore a volto, occhi, labbra, lingua o gola

dolore, gonfiore o fuoriuscita di materiale dalle ferite

epidermide arrossata, gonfia o che si desquama

complicanze alle articolazioni

anemia

sintomi di emorragie cerebrali

bassa pressione

inspiegabili gonfiori

lividi o emorragie

vomito simile a caffè

ittero

 

Controindicazioni e avvertenze

Ne è controindicato l’utilizzo in presenza di alcuni tipi di emorragie e di disturbi emorragici causati da malattie epatiche, a chi è portatore di una valvola cardiaca artificiale e in caso di alcuni problemi ai reni o al fegato.

Il farmaco non deve inoltre essere impiegato da chi è in trattamento con altri coagulanti, abciximab, bivalirudina, itraconazolo, ketoconazolo, lopinavir, nelfinavir, fenobarbital, posaconazolo, rifamicine, ritonavir, saquinavir, telaprevir, tirofiban, voriconazolo, alteplase, boceprevir, carbamazepina, cobicistat, conivaptan, dabigratan, desirudina, enzalutamide, eptifibatide, idantoine, indinavir e iperico

La cura non deve essere mai interrotto senza previo consenso del curante.

Prima di assumerlo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri medicinali, ad alimenti o a qualsiasi altra sostanza

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti nel pregresso (in particolare altri coagulanti, abciximab, alteplase, aspirina o Fans, bivalirudina, dabigatran, desirudina, eptifabide, inibitori delle piastrine, tirofibran, posaconazolo, ritonavir, saquinavir, telaprevir, voriconazolo, carbamazepina, enzalutamide, boceprevir, claritromicina, cobicistat, conivaptan, eritromicina, fluconazolo, indinavir, itraconazolo, ketoconazolo, lopinavir, nelfinavir, idantoine, fenobarbital, rifamicine o iperico)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di malattie emorragiche o disturbi della coagulazione, alta pressione, malattie renali o epatiche, ictus, ulcere gastrointestinali, malattie ereditarie, problemi ai vasi sanguigni, anemia o altre malattie ematologiche, piastrine basse o altri problemi con le piastrine

se si è a rischio di emorragie

in caso di programmato intervento chirurgico

se si soffre di disturbi renali e si è in trattamento con amiodarone, azitromicina, cloramfenicolo, cimetidina, diltiazem, ranolazina, verapamil, dronedarone, eritromicina, felodipina o chinidina

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

In caso di procedure spinali o epidurali – durante il trattamento con rivarobaxan – è bene avvertire il medico in caso di sintomi di problemi ai nervi (ad esempio mal di schiena, debolezza muscolare, paralisi, perdita del controllo dell’intestino o della vescica o intorpidimenti).

È inoltre importante far sapere medici, chirurghi e dentisti della sua assunzione.

Roflumilast

Roflumilast

 

S’impiega al fine di ridurre il rischio di riacutizzazioni e peggioramenti di complicanze respiratorie in alcuni casi di broncopneumopatia cronica ostruttiva.

 

Che cos’è il Roflumilast?

Il suo esatto meccanismo di funzionamento non è ancora noto; si sa però che inibisce l’enzima fosfodiesterasi di tipo 4.

 

Come si assume il Roflumilast?

Si somministra sotto forma di compresse.

 

Effetti collaterali del Roflumilast

Può causare gravi e improvvisi problemi respiratori. Può altresì aumentare il rischio di problemi psicologici o comportamentali e determinare un aumento di peso.

Fra gli altri suoi possibili effetti collaterali sono inclusi:

male alla schiena

calo dell’appetito

scariche di diarrea

capogiri

sintomi simil-influenzali

mal di testa

lieve perdita di peso

senso di nausea

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

prurito

gonfiore a volto, occhi, labbra, lingua o gola

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

problemi di minzione

battito irregolare

problemi psicologici o comportamentali

male allo stomaco o alla schiena forte o persistente

istinti al suicidio

tremori

stato d’insonnia

 

Controindicazioni e avvertenze

Be è sconsigliato l’impiego in presenza di alcuni problemi epatici e se si assume fenobarbital, primidone, rifamicine, carbamazepina, idantoine o iperico.

Può compromettere le capacità di guida o di manovra di macchinari pericolosi; l’effetto può essere aggravato dall’alcol e da alcuni farmaci.

Prima di assumerlo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri medicinali, ad alimenti o a qualsiasi altra sostanza

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti (in particolare contraccettivi ormonali, ketaconazolo, carbamazepina, idantoine, cimetidina, enoxacina, eritromicina, fluvoxamina, itraconazolo, fenobarbital, primidone, rifamicine o iperico)

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di problemi epatici, mentali o psicologici

in caso di istinti suicidi

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

Rosuvastatina

Rosuvastatina

 

La rosuvastatina si usa per minimizzare i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue, in maniera da frenare l’aterosclerosi e diminuire di conseguenza il pericolo di infarto e ictus.

 

Viene anche utilizzato nella terapia di certe persone che altrimenti dovrebbero venire sottoposti a trattamenti per riaprire vasi sanguigni del cuore bloccati.

 

Che cos’è la rosuvastatina?

La rosuvastatina opera minimizzando la sintesi di sostanze grasse, colesterolo compreso, da parte dell’organismo. Inoltre accresce i livelli di colesterolo “buono” (HDL).

 

Come si prende la rosuvastatina?

La rovusastatina si prende per bocca. La sua assunzione si deve combinare cona una dieta adeguata.

 

Effetti collaterali della rosuvastatina

La rosuvastatina può provocare disturbi epatici o miopatie. Inoltre può modificare i livelli di zuccheri nel sangue.

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

costipazione

dolore alla testa

nausea

dolore allo stomaco

debolezza

È meglio avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione o male al petto

gonfiore a bocca, viso, labbra, gola o lingua

raucedine inusuale

urine scure o sangue nelle urine

alterazioni nella quantità di urina prodotta

confusione

depressione

mali articolari o muscolari

disturbi di memoria

sensibilità o debolezza muscolare (con o senza febbre o affaticamento)

cute arrossata, gonfia, con vesciche o che si desquama

dolore alla testa serio o continuo

nausea o vomito intenso o continuo

intenso dolore allo stomaco o alla schiena (con o senza nausea o vomito)

gonfiore di mani, caviglie o piedi

sintomi di disturbi renali

insonnia

 

Controindicazioni e avvertenze

La rosuvastatina può non essere indicata in caso di disturbi al fegato. Inoltre non si dovrebbe prendere durante la gravidanza e l’allattamento.

Prima di cominciare la terapia è fondamentale avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri farmaci o ad cibi e altre sostanze

degli altri medicinali, dei fitoterapici e degli integratori presi, nello specifico colchicina, ciclosporina, daptomicina, fibrati, niacina, dronedarone, eltrombopag, itraconazolo, anticoagulanti, cimetidina, ketoconazolo, sirolimus, spironolattone e tacrolimus

se si soffre (o si è sofferto) di disturbi muscolari, pressione bassa, gravi infezioni, disturbi renali, epatici o alla tiroide, diabete o iperglicemia, convulsioni, incremento dei livelli ematici di CPK, disturbi metabolici, ormonali o nel bilancio elettrolitico

in presenza di disidratazione

in presenza di storia familiare di disturbi muscolari ereditari

in presenza di dialisi

se si consumano alcolici o si ha una storia di abuso di alcol

in presenza di trapianto

di interventi chirurgici recenti

se si fa molta attività fisica

in presenza di gravidanza o allattamento

 

Durante la terapia è fondamentale rispettare il programma alimentare e di attività fisica consigliato dal dottore.

Le donne in età fertile devono usare metodi anticoncezionali efficienti.

La rosuvastatina può alterare le capacità di guidare o di manovrare macchinari pericolosi. Alcolici e altri farmaci possono aggravare questo effetto collaterale.

È fondamentale avvertire dottori, chirurghi e dentisti dell’assunzione di rosuvastatina.

Rotigotina

Rotigotina

 

S’impiega nella cura del Parkinson e della sindrome delle gambe senza riposo di gravità moderata o elevata.

 

Che cos’è la rotigotina?

Il suo esatto meccanismo di funzionamento non è ancora noto, ma si ritiene che agisca su specifiche aree del cervello in modo da ridurre la sintomatologia della sindrome delle gambe senza riposo e delle fasi precoci del Parkinson.

 

Come si assume la rotigotina?

Viene di solito somministrata mediante cerotti transdermici.

 

Effetti collaterali della rotigotina

Può generare sonnolenza e addormentamenti improvvisi e indurre comportamenti compulsivi. Nei soggetti affetti da Parkinson può aumentare il rischio di melanoma, mentre in caso di pazienti affetti da sindrome delle gambe senza riposo può portare alla ricomparsa dei sintomi, al loro peggioramento o alla loro anticipazione in ore più precoci del mattino.

 

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

sintomi di infezioni alle vie aeree superiori

senso di stanchezza

stato d’insonnia

conati di vomito

stato di debolezza

lievi arrossamenti, gonfiori o prurito al sito di applicazione

costipazione

calo dell’appetito

scariche di diarrea

capogiri

sensazione di sonnolenza

mal di testa

aumento della sudorazione

dolori a livello articolare

senso di nausea

 

È importante rivolgersi subito ad un medico in caso di:

rash

orticaria

prurito

perdita delle capacità coordinative

disturbi dell’umore o del comportamento, nuovi o in peggioramento

movimenti improvvisi o incontrollati di mani o gambe, nuovi o in peggioramento

persistente insonnia

acufeni

improvvise sonnolenze o addormentamenti

improvviso e ingiustificato aumento di peso corporeo

gonfiore a mani, caviglie o piedi

tremori

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione o dolore al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

sogni strani

bruciori, intorpidimenti o pizzicori

stato di confusione

svenimenti

battito accelerato o irregolare

stato di allucinazione

neoformazioni cutanee o cambiamento nell’aspetto di un neo

problemi visivi

irritazione, prurito, arrossamenti o gonfiore persistenti al sito di applicazione

 

Controindicazioni e avvertenze

Prima di assumerla è importante rendere edotto il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze (in particolare ai solfiti)

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti per il passato, in particolare benzodiazepine, antagonisti della dopamina, psicofarmaci, medicinali per dormire e levodopa

se si soffre (o si è sofferto in pregresso) di ritenzione idrica o gonfiori, problemi d’umore o del comportamento, sonnolenza e problemi di sonno, problemi cardiaci o capogiri, problemi ai vasi sanguigni, pressione alta o bassa, problemi ai reni o al fegato, asma o altri problemi all’apparato respiratorio, nausea, sudorazioni o svenimenti quando si mantiene la posizione eretta

se si bevono sostanze alcoliche

in caso di storia personale o familiare di dipendenze (ad esempio dall’alcol o dal gioco d’azzardo)

in caso di programmata risonanza magnetica

se si ha in programma una cardioversione

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

 

Può compromettere le capacità di guida o di manovra di macchinari pericolosi; questo effetto avverso può essere aggravato dall’assunzione di alcol e da alcuni medicinali (in particolare farmaci che possono indurre sonnolenza). Inoltre la febbre, il caldo, l’alcol e l’attività fisica possono aumentare i capogiri associati alla sua assunzione, soprattutto al mattino; per questo motivo è consigliabile alzarsi con cautela nonchè sedersi o sdraiarsi alle prime avvisaglie di giramenti di testa.

È importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti dell’utilizzo di rotigotina.

Il cerotto transdermico deve essere rimosso in caso di alcune procedure mediche. Non deve altresì entrare in contatto con fonti di calore (ad esempio coperte elettriche).

In caso di irritazioni nell’area di applicazione del cerotto, è consigliabile evitare l’esposizione diretta alla luce solare fino ad avvenuta guarigione.

Rottura del tendine d’Achille

Rottura del tendine d’Achille

 

Il tendine d’Achille è responsabile di molti dei movimenti che avvengono a livello del piede e della gamba. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio al calcagno. Sebbene sia un tendine molto resistente, se sottoposto a eccessivo sforzo può lacerarsi e arrivare a rompersi. La rottura del tendine di Achille può essere parziale o totale.

 

Che cos’è la rottura del tendine d’Achille?

Questo tipo di infortunio, tanto più doloroso quanto maggiormente è estesa la rottura, si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. L’approccio chirurgico è spesso la migliore opzione di trattamento per riparare una rottura del tendine d’Achille. Gli uomini corrono un rischio fino a 5 volte maggiore di incorrere in questo infortunio rispetto alle donne e la fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 40 anni.

 

Quali sono le cause della rottura del tendine d’Achille?

La rottura di questo tendine – che può essere parziale o totale – è più frequente entro i primi 5-6 centimetri dal punto dove il tendine si attacca al calcagno. Questo tipo di lesione viene quasi sempre provocata da un improvviso aumento della quantità di stress sul tendine di Achille. Ciò accade soprattutto a causa di traumi o infortuni (quando, ad esempio, si cade o si infila il piede in una buca). Spesso la rottura del tendine di Achille riguarda soggetti che praticano sport: aumentare eccessivamente l’intensità dell’attività sportiva è infatti una delle cause più frequenti che porta alla rottura di questo tendine. Le lesioni del tendine di Achille si verificano più spesso negli sport caratterizzati da corse, salti e scatti (come calcio, basket e tennis).

 

Quali sono i sintomi della rottura del tendine d’Achille?

Quando si verifica la rottura del tendine molte persone riferiscono di sentire un rumore di schiocco, simile a una frustata. Solitamente la sintomatologia che accompagna questo infortunio comprende:

-dolore, anche molto intenso, nella zona del tallone

-gonfiore intorno al tallone

-incapacità di piegare il piede infortunato verso il basso

-incapacità di alzarsi sulla punta del piede infortunato

 

Come prevenire la rottura del tendine d’Achille?

Per ridurre le probabilità di lacerazione del tendine d’Achille è consigliabile:

-effettuare esercizi volti ad allungare e rinforzare i muscoli del polpaccio e il tendine di Achille.

-variare il tipo di attività sportiva svolta, alternando sport ad alto impatto, come la corsa, con sport a basso impatto come camminare, andare in bicicletta o nuotare.

-evitare o limitare l’esecuzione di esercizi su superfici dure e scivolose.

-indossare calzature adeguate all’attività fisica che si sta svolgendo.

-aumentare l’intensità dello sforzo fisico gradualmente: molte delle lesioni al tendine di Achille si verificano proprio quando si aumenta bruscamente l’intensità (durata e/o frequenza) degli allenamenti.

 

Diagnosi

Per diagnosticare la rottura del tendine di Achille è spesso sufficiente sottoporsi a una visita ortopedica: il medico specialista sarà infatti in grado, attraverso opportune manovre, di effettuare la diagnosi.

Per rilevare l’entità del danno a carico del tendine, e stabilire se la rottura è totale o parziale, il medico può richiedere l’esecuzione di una risonanza magnetica.

 

Trattamenti

Il trattamento per la rottura del tendine d’Achille dipende dalla gravità della lesione, dall’età del soggetto colpito dall’infortunio e dal livello di attività fisica svolta abitualmente. In generale, nel caso di rottura completa, le persone più giovani e attive spesso optano per l’intervento chirurgico attraverso cui il tendine lacerato viene ricucito. In caso, invece, di rottura parziale, può essere utilizzato un gesso (o un tutore) comprensivo di sostegni per tenere il tallone sollevato (per mantenere, cioè, il piede in posizione equina) al fine di favorire la rimarginazione del tendine lacerato.

Dopo qualsiasi trattamento è necessario sottoporsi a un programma di fisioterapia per rinforzare i muscoli delle gambe e lo stesso tendine di Achille. Per tornare alla normale attività quotidiana e sportiva solitamente sono necessari 4-6 mesi.

 

Rottura della cuffia dei rotatori

Rottura della cuffia dei rotatori

 

La cuffia dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli (con i rispettivi tendini) che concorre al movimento dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del braccio).

 

Che cos’è la rottura della cuffia dei rotatori?

La “lesione” della cuffia dei rotatori è la rottura parziale o completa di uno (o più) fra i tendini che la costituiscono.

È una condizione molto comune soprattutto nel paziente anziano. La rottura può essere sia parziale che completa e genera sia dolore che limitazioni funzionali.

 

Quali sono le cause della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori può avvenire sia per un evento traumatico, come risultato di un movimento errato, di un eccessivo carico o di un impatto, sia per via degenerativa, più lentamente, a causa di continui stress dell’articolazione o come frutto della degenerazione indotta dall’invecchiamento.

Più frequentemente è un insieme di questi due elementi che portano alla rottura tendinea: a causa di fenomeni degenerativi inizia un fenomeno di “assottigliamento” del tendine che può poi evolvere sia spontaneamente che in seguito a traumi o sforzi anche banali in una rottura completa.

 

Quali sono i sintomi della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori è solitamente caratterizzata da dolore nella parte anteriore della spalla, specialmente se la causa della rottura è di natura traumatica. Il paziente prova dolore specialmente quando compie movimenti come alzare il gomito sopra la spalla o appoggiarlo a una superficie come il bracciolo di una poltrona o la superficie di un tavolo o di una scrivania.

Quando la rottura deriva invece da una condizione cronica, il dolore si manifesta con intensità variabile nel tempo ed è spesso presente nelle ore notturne. È inoltre spesso accompagnato da una maggiore difficoltà nel compiere movimenti, che hanno un raggio più limitato, e dall’impossibilità di sollevare pesi anche modesti.

 

Quali sono i fattori di rischio per la rottura della cuffia dei rotatori?

Nei casi di rottura tendinea traumatica vanno considerati fattori di rischio tutte le attività sia sportive che lavorative che hanno una alta incidenza di traumatismi a carico della spalla (rugby, calcio, sci, motocross ecc).

Nel caso di lesioni degenerative esistono fattori di rischio legati all’età, a patologie metaboliche (come il diabete), ad abitudini di vita (come il fumo) per cui si genera una diminuzione della vascolarizzazione del tendine che quindi si indebolisce e che lo predispone alla rottura.

La rottura può tuttavia derivare anche dallo svolgimento di un lavoro che sollecita l’articolazione in modo continuo o da una predisposizione personale, dovuta alla naturale conformazione dell’articolazione.

 

Come si previene la rottura della cuffia dei rotatori?

Non è possibile prevenire la lacerazione della cuffia dei rotatori ma è facile diminuire le possibilità di una lacerazione traumatica o da degenerazione attraverso i seguenti accorgimenti:

-esercitare regolarmente la spalla per mantenere flessibilità e forza della muscolatura.

-fare attenzione agli sforzi che riguardano l’articolazione fra spalla e omero.

-riposo quando l’articolazione duole o è infiammata.

-non esitare a sottoporsi a un controllo specialistico in caso di persistenza della sintomatologia.

 

Diagnosi

La rottura della cuffia dei rotatori si diagnostica solitamente attraverso l’esame fisico, seguito per conferma da una risonanza magnetica.

La radiografia, invece, sebbene non evidenzi la rottura, può essere utilizzata per rendere visibili eventuali alterazioni a carico delle componenti scheletriche.

 

Trattamenti

Spesso l’opzione chirurgica non è la prima scelta per il trattamento della rottura della cuffia dei rotatori in quanto è possibile avere un beneficio della sintomatologia anche con trattamenti riabilitativi.

L’approccio chirurgico viene spesso considerato come prima opzione solo in casi di rottura totale in pazienti giovani, quando c’è il rischio che possa portare ad un’alterazione nella conformazione dell’articolazione stessa.

 

Terapia non chirurgica

L’approccio non chirurgico consiste in diversi fasi indirizzate alla riduzione della sintomatologia.

Può essere benefico un periodo di riposo eliminando fattori di stress per la spalla (sia sportivi che lavorativi) coadiuvati da una terapia farmacologica mirata a ridurre sia il dolore che l’infiammazione derivante dalla rottura tendinea.

A ciò si può aggiungere un programma riabilitativo basato su terapie fisiche e fisioterapia per ridurre la componente infiammatoria e cercare di ottenere un recupero funzionale.

A seconda dei risultati della terapia fisica e degli esiti dei controlli successivi, lo specialista può decidere se continuare con la terapia non chirurgica od optare per un intervento di tipo chirurgico.

 

Terapia chirurgica

Quando vi sia l’indicazione per un approccio di tipo chirurgico, per via dell’esito negativo delle terapie non chirurgiche (solitamente non valutabile prima di 8-12 settimane) o per altri fattori, lo specialista può decidere di operare.

L’approccio artroscopico è in questo caso quello più utilizzato: in regime di day surgery, in anestesia loco reginale e attraverso 3 piccoli “buchini” attraverso la pelle si procede alla visualizzazione diretta della lesione e alla sua riparazione.

La chirurgia si è dimostrata efficace nella terapia per la rottura della cuffia dei rotatori, sebbene possa accadere che la patologia si ripresenti con ricorrenza nell’arco della vita del medesimo individuo. In casi molto severi è possibile infine procedere alla sostituzione di una parte o dell’intera articolazione della spalla con una protesi.

Dopo la terapia chirurgica, qualsiasi sia l’approccio adottato, è necessaria una procedura di riabilitazione, divisa solitamente in tre fasi:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e non (circa 8 settimane).

 

Roxatidina

Roxatidina

 

La Roxatidina si usa soprattutto nella terapia di ulcere gastrointestinali, contro l’eccessiva acidità gastrica e, combinata con altri trattamenti, contro il reflusso gastroesofageo.

 

Che cos’è la Roxatidina?

Si tratta di un antagonista dei recettori H2 per l’istamina esistenti nello stomaco. Opera arrestando la secrezione di acido da parte delle cellule dello stomaco.

 

Come si prende la Roxatidina?

Di solito la Roxatidina si prende per bocca, però si può assumere anche tramite iniezioni in vena.

 

Effetti collaterali della Roxatidina

Tra gli eventuali effetti collaterali della Roxatidina troviamo anche:

capogiri

dolore alla testa

diarrea

irrequietezza

costipazione

nausea

vomito

È sempre meglio avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

La terapia con Roxatidina può accrescere le concentrazioni degli enzimi epatici.

La Roxatidina non è indicata in presenza di anuria. Prima di cominciare a prenderla è anche fondamentale avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti o ad altri medicinali o cibi

dei farmaci, dei fitoterapici e degli integratori presi

se si soffre (o si ha sofferto) di anuria, disturbi renali o epatici o problemi cardiovascolari

in presenza di gravidanza o allattamento

Rufinamide

Rufinamide

 

La rufinamide si usa per curare le convulsioni collegate alla sindrome di Lennox-Gastaut.

 

Che cos’è la rufinamide?

Si tratta di un anticonvulsivante. Il suo preciso meccanismo di funzionamento non si conosce, però si ritiene che operi frenando, a livelli cerebrali, gli impulsi nervosi anomali.

 

Come si prende la rufinamide?

La rufinamide si assume per bocca dopo aver mangiato.

 

Effetti collaterali della rufinamide

L’assunzione di rufinamide può accrescere il pericolo di istinti suicidi e diminuire l’efficienza degli anticoncezionali ormonali.

 

Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

capogiri

sonnolenza

mal di testa

nausea

stanchezza

vomito

 

È meglio avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori

sensazione di oppressione al petto

gonfiore a bocca, viso, labbra, gola o lingua

cambiamenti dell’appetito

diminuzione delle capacità di coordinazione o problemi a camminare

febbre, brividi o dolore alla gola

battito cardiaco irregolare

disturbi psicologici, comportamentali o dell’umore nuovi o in peggioramento

intenso dolore muscolare

capogiri, sonnolenza, stanchezza o debolezza intensi o continui

istinti suicidi

lividi o emorragie

disturbi alla vista

 

Controindicazioni e avvertenze

La rufinamide non è indicata in presenza di sindrome del QT breve (o in caso di situazioni in famiglia) e di gravi disturbi epatici.

Prima di prendere rufinamide è fondamentale avvertire il dottore:

di allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, ad altri farmaci o a cibi e altre sostanze

degli altri medicinali, dei fitoterapici e degli integratori presi, rammentando di citare i medicinali che possono causare sindrome del QT breve, divalproex, acido valproico, carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, primidone, lamotrigina, anticoncezionali orali e triazolam

se si soffre (o si è sofferto) di disturbi psicologici, dell’umore, cardiaci o epatici

in presenza di istinti suicidi

in presenza di abuso o dipendenza da alcol

in presenza di dialisi

in presenza di gravidanza o allattamento

È fondamentale avvertire dottori, chirurghi e dentisti dell’assunzione di rufinamide.

La terapia non deve mai essere smessa repentinamente a ragione del pericolo di comparsa di convulsioni.

Il medicinale può alterare le capacità di guidare o di manovrare macchinari pericolosi. Questo effetto collaterale può aggravarsi con il consumo di alcolici e altri farmaci.

 

Prenotazioni

B&P

arese

5×1000

Salicornia

Salicornia

 

Che cos’è la salicornia?

La salicornia – chiamata anche “asparago di mare” a ragione della sua somiglianza con l’asparago selvatico, però conosciuta anche come salicot, finocchio di mare o fagiolo di mare – è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae che cresce spontanea lungo le rive, principalmente nelle paludi salmastre, dove crea i cosiddetti salicornieti; inoltre la si può trovare anche negli acquitrini, lungo i canali e, meno di frequente, su terreni argillosi. Specialmente facile da trovare nel bacino del Mediterraneo, è tipica anche di altre regioni Europee, in Asia e nell’America Settentrionale.

In cucina si adoperano solo i germogli e le parti giovani e tenere.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali della salicornia?

La salicornia è fonte di:

vitamina C

vitamine del gruppo B

iodio

bromo

Inoltre la salicornia è anche fonte di ossalati, mucillagini e pectine.

 

Quando non consumare salicornia?

Non sono state rilevate interazioni fra il consumo di salicornia e l’assunzione di medicinali o altre sostanze. In presenza di dubbi è meglio consigliarsi con il proprio dottore.

 

Stagionalità della salicornia

La stagione della salicornia comincia a maggio e finisce a settembre. È meglio mangiarla entro 15 giorni dalla raccolta; nel frattempo si conserva tra gli 8 e i 16 °C.

 

Eventuali benefici e controindicazioni

Alla salicornia vengono ascritte proprietà depurative e rinfrescanti. Il suo succo, pieno di iodio, si consiglia nella terapia dell’ipotiroidismo; inoltre il suo apporto di vitamina C collabora alla prevenzione dello scorbuto.

Il sapore della salicornia è già salato di suo. Questa particolarità può essere sfruttata per non aggiungere altro sale durante la sua preparazione, in maniera da non avere un apporto troppo alto di sodio con l’alimentazione.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione del medico. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Scompenso cardiaco

Scompenso cardiaco

 

Lo scompenso cardiaco viene provocato dall’incapacità del cuore di svolgere la normale funzione contrattile di pompa e di soddisfare il corretto apporto di sangue a tutti gli organi. Non è sempre facile evidenziarlo, ed infatti nello stadio precoce la malattia può essere asintomatica.

Che cos’è lo scompenso cardiaco?

Lo scompenso cardiaco è costituito da un insieme di sintomi e manifestazioni fisiche provocati dall’incapacità del cuore di svolgere la normale funzione contrattile di pompa e di soddisfare il corretto apporto di sangue a tutti gli organi. Lo scompenso cardiaco può verificarsi a qualsiasi età e può essere determinato da diverse cause. Lo sviluppo dell’insufficienza cardiaca può avvenire in genere a causa di una lesione muscolare cardiaca, ad esempio come conseguenza di un infarto del miocardio, di un’eccessiva sollecitazione cardiaca dovuta a un’ipertensione arteriosa non trattata o a causa di una disfunzione valvolare cronica. L’elettrocardiogramma di molti pazienti colpiti da scompenso cardiaco mostra un’alterazione denominata “blocco di branca sinistra” (BBS). È stato dimostrato che le conseguenze di questa alterazione della propagazione del battito cardiaco sono delle modificazioni dell’attività meccanica contrattile cardiaca, che provocano una dissincronia di contrazione e quindi un peggioramento della capacità contrattile del cuore.

Con quali sintomi si manifesta questa patologia

Dal punto di vista clinico non si può sempre evidenziare lo scompenso cardiaco: nello stadio precoce i pazienti non manifestano quasi nessun sintomo, oppure avvertono sintomi lievi, come per esempio l’affanno solo per sforzi molto elevati. Purtroppo l’andamento naturale della patologia è progressivo e i sintomi diventano gradualmente sempre più evidenti portando il paziente a effettuare accertamenti cardiologici per malessere. Nei soggetti affetti da scompenso cardiaco, l’incapacità del cuore di pompare il sangue efficacemente e di fornire ossigeno a organi importanti come reni e cervello, determina la comparsa di una serie di sintomi, fra i quali per esempio: dispnea (mancanza di fiato) da sforzo e a volte anche dispnea a riposo, edema degli arti inferiori, astenia, difficoltà respiratorie in posizione supina, tosse, addome gonfio o dolente, perdita di appetito, confusione, deterioramento della memoria.

La classificazione di gravità

Il grado di scompenso cardiaco viene classificato in base al livello di limitazione dell’attività fisica: la New York Heart Association individua quattro classi di scompenso cardiaco (Classe I, II, III o IV). I medici e le pubblicazioni mediche solitamente utilizzano questa classificazione per descrivere la gravità dello scompenso cardiaco e l’effetto del trattamento. La definizione delle classi si basa sui sintomi che si manifestano durante l’esercizio dell’attività:

Classe I. Paziente asintomatico (non presenta sintomi). L’attività fisica abituale non determina dispnea né affaticamento.

Classe II. Scompenso cardiaco lieve. L’attività fisica moderata (come salire due rampe di scale o salire alcuni gradini portando un peso) comporta dispnea o affaticamento

Classe III. Scompenso cardiaco da moderato a grave. L’attività fisica minima (come camminare o salire mezza rampa di scale) provoca dispnea o affaticamento.

Classe IV. Scompenso cardiaco grave. Astenia, dispnea o affaticamento sono presenti anche in una situazione di riposo (seduti o sdraiati a letto).

Diagnosi

La diagnosi di scompenso cardiaco si basa sulla valutazione clinica che tiene conto della storia clinica, dell’esame fisico e di appropriate indagini strumentali.

Tra le più importanti ci sono:

elettrocardiogramma,

radiografia del torace,

prelievo per dati ematochimici,

holter ECG 24 ore,

test ergometrico.

In alcuni casi risulta necessario effettuare cateterismo cardiaco e coronarografia.

Trattamenti

Il trattamento dello scompenso cardiaco è multidisciplinare e caratterizzato da vari livelli d’approccio. L’equipe medica ha come obiettivo finale quello di ridurre i sintomi per migliorare la qualità della vita, rallentare la progressione della patologia, ridurre l’ospedalizzazione e aumentare la sopravvivenza. Come per molte altre condizioni patologiche, le chiavi del successo nella gestione a breve e lungo termine di questa patologia sono rappresentate da una diagnosi precoce e dalla stretta collaborazione tra il proprio medico di fiducia e il cardiologo curante.

Nel trattamento dello scompenso cardiaco è previsto l’uso di diversi presidi:

Terapia farmacologica: spesso costituita dalla combinazione di più farmaci. È importante, inoltre, che si attuino delle modifiche allo stile di vita e alle abitudini alimentari, come per esempio la riduzione dell’apporto di sale, il controllo dei bilanci idrici, la pratica di attività fisica moderata periodica ecc…

Nel caso in cui la sola terapia farmacologica non risultasse sufficiente oppure non ben tollerata dal paziente, è necessario aggiungervi anche la terapia elettrica, attraverso l’impianto di dispositivi per la resincronizzazione cardiaca. Questi dispositivi lavorano in stretta sinergia con i farmaci antiscompenso, battito dopo battito, riuscendo così a frenare la progressione dello scompenso e in molti casi a ripristinare una contrattilità cardiaca normale e una buona qualità di vita. La terapia di risincronizzazione cardiaca, associata a un programma terapeutico adeguato, è risultata capace di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita di molti pazienti limitando i sintomi dell’insufficienza cardiaca, incrementando la capacità di esercizio e ponendo i soggetti in condizione di poter riprendere molte delle loro attività quotidiane.

I pacemaker biventricolari CRT-P o defibrillatori biventricolari CRT-D risultano essere un importante presidio di trattamento per lo scompenso ormai largamente clinicamente testato: sono in uso da molti anni e approvati dalle linee guida delle più grandi società mondiali di cardiologia. Sarà il cardiologo a stabilire quale dispositivo CRT sia più adatto al quadro clinico del paziente, in base alle condizioni del paziente e ai dati ecografici.

Come si può prevenire?

Per i soggetti a rischio cardiovascolare in cui si manifestino una disfunzione ventricolare sinistra asintomatica, noto precursore dello scompenso cardiaco sia di tipo sistolico che diastolico, e un’assenza di elementi considerati con chiarezza predittori di scompenso, è consigliabile prestare un’attenzione maggiore in termini di diagnostica preventiva e di terapia farmacologica.

Sedano

Sedano

 

Che cos’è il sedano?

Conosciuto come Apium graveolens, i tratta di una verdura che appartiene alla famiglia delle Ombrellifere. La pianta del sedano arriva a un’altezza di circa 80 centimetri e le sue foglie hanno il margine tipicamente seghettato. La radice è fittonante, cioè stretta e lunga ed entra profondamente nella terra. Il tipo di sedano con radice grossa è il “sedano rapa”. Il sedano si può consumare crudo o cotto e può anche centrifugare per berlo in forma di succo.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

100 grammi di sedano crudo danno 20 Calorie suddivise così:

46% proteine

9% lipidi

45% carboidrati

Nello specifico 100 grammi di sedano crudo hanno:

88,3 g di acqua

2,3 g di proteine

0,2 g di lipidi

0 mg colesterolo

2,4 g di carboidrati disponibili

0,2 g di amido

2,2 g di zuccheri solubili

1,6 g di fibra totale (fibra solubile 0,18 g; fibra insolubile 1,41 g)

140 mg di sodio

280 mg di potassio

0,5 mg di ferro

31 mg di calcio

45 mg di fosforo

16 mg di magnesio

1,24 mg di zinco

0,11 mg di rame

3 µg di selenio

0,06 mg di tiamina (vitamina B1)

0,19 mg di riboflavina (vitamina B2)

0,2 mg di niacina (vitamina B3 o vitamina PP)

207 µg di vitamina A retinolo equivalente

32 mg di vitamina C

 

Quando non consumare il sedano?

Non si conoscono interazioni fra il consumo di sedano e l’assunzione di medicinali o altre sostanze.

 

Stagionalità del sedano

Il sedano si raccoglie fino a ottobre, anche se questa verdura si trova nei nostri mercati per tutto l’anno.

 

Eventuali benefici e controindicazioni

Grazie all’alta quantità di fibre, il sedano accresce il senso di sazietà e collabora alla riduzione della presenza di colesterolo e trigliceridi nel sangue. La presenza di certe molecole (fenolo, inositolo) ottimizza l’attività dell’intestino e minimizza la presenza di gas. Certi fitonutrienti che contiene sono anche validi nemici dell’ipertensione perché collaborano con certi ormoni che controllano la pressione del sangue. Ha anche delle fondamentali proprietà diuretiche. L’ingente presenza di vitamina A combinata al potere disintossicante di questo ortaggio rendono il sedano adeguato anche per molte tipologie diverse di infiammazioni. Per riuscire a sfruttare tutte le proprietà benefiche la cosa migliore è mangiarlo crudo, però anche cotto al vapore. L’importante è non cuocere troppo a lungo.

È bene fare attenzione al consumo di questa verdura in caso si soffrisse di patologie renali, perché certe delle sostanze che si trovano nel sedano possono essere irritanti per i reni. Il sedano può anche provocare una crescita della sensibilità della cute ai raggi solari.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano mai in nessuna maniera l’opinione del dottore. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Semolino

Semolino

 

Che cos’è il semolino?

Si tratta di un prodotto che viene fatto dalla macinazione dei cereali. Si presenta in forma di granelli più o meno grezzi dal colorito giallognolo. Il semolino più comune è quello di frumento o grano duro. In base alla grandezza dei granelli, il semolino può suddividersi in semolini grossi (o semole) e in semolini fini (o semolini). Il semolino si può adoperare nella preparazione della pasta, per preparare o rendere più dense le minestre e per preparare il pane.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali del semolino?

100 grammi di semolino di frumento duro crudo contengono circa 350 Calorie e includono approssimativamente:

11 g di acqua

11 g di proteine

1,4 g di lipidi

79 g di carboidrati

68 g di amido

4 g di zuccheri

3 g di fibre

4 mg di sodio

192 mg di potassio

1,4 mg di ferro

22 mg di calcio

189 mg di fosforo

51 mg di magnesio

1,1 mg di zinco

0,3 mg di rame

2,7 µg di selenio

0,01 mg di vitamina B1 o Tiamina

0,02 mg di vitamina B2 o Riboflavina

2,5 mg di vitamina B3 o Niacina (o vitamina PP)

tracce di vitamina E

 

Quando non consumare il semolino?

A oggi non si conoscono interazioni fra il consumo di semolino e l’assunzione di medicinali o altre sostanze.

Il semolino contiene glutine e non può dunque venire mangiato da celiaci o da chi è affetto da intolleranza al glutine.

 

Stagionalità del semolino

Il semolino di frumento duro è un prodotto reperibile durante tutto l’anno senza alcuna difficoltà.

 

Eventuali benefici e controindicazioni

Il semolino di frumento duro si distingue per l’elevato potere calorico e un’alta digeribilità che ne fanno un cibo adeguato a venire mangiato da chiunque, ma principalmente da bambini, anziani e persone in convalescenza. Come succede per altri cibi fonti di carboidrati complessi come cereali (riso, orzo, farro, grano) e alimenti a base di cereali (fra cui pasta e pane), il semolino ha soprattutto un lento rilascio di glucosio nel sangue, garantendo all’organismo energia a lungo termine. La totale mancanza di colesterolo fa anche sì che questo cibo possa entrare anche nelle diete di persone affette da disturbi cardiovascolari.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione medica. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.

Semustina

Semustina

 

La Semustina viene usata soprattutto nella terapia di tumori al cervello, tumori del colon retto, linfomi e cancro allo stomaco.

 

Che cos’è la Semustina?

Si tratta di un agente alchilante: altera il DNA bloccandone la replicazione e contrastando, di conseguenza, lo sviluppo delle cellule tumorali.

 

Come si prende la Semustina?

Di solito la semustina si assume mediante iniezione in vena.

 

Effetti collaterali della Semustina

La semustina è entrata nelle categorie dello IARC (l’International Agency for Research on Cancer) come cancerogeno di Gruppo 1 (cancerogeno per l’uomo).

Tra i suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

danni ai reni

trombocitopenia

nausea

vomito

iperpigmentazione

Un eventuale sovra dosaggio può provocare:

convulsioni

fibrosi polmonare

leucopenia

neurite ottica

 

Avvertenze

Prima di cominciare una cura con semustina è fondamentale avvertire il dottore:

di probabili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti o a ogni altro medicinale o cibo

degli altri farmaci, dei fitoterapici e degli integratori che si prendono

nell’eventualità in cui si soffra (o si abbia sofferto) di problemi renali o epatici

in presenza di gravidanza o allattamento al seno

Sevelamer

Sevelamer

 

Si impiega al fine di abbassare i livelli eccessivi di fosforo nel sangue nei confronti di pazienti, con malattie renali, sottoposti a dialisi.

 

Che cos’è il sevelamer?

Esso esplica la sua azione legandosi al fosforo assunto con gli alimenti, prevenendone così l’assorbimento.

 

Come si assume il sevelamer?

Si somministra via bocca (di solito sotto forma di capsule da assumere tre volte al giorno, a stomaco pieno).

 

Effetti collaterali del sevelamer

Fra gli altri suoi possibili effetti indesiderati sono inclusi:

fastidi allo stomaco

scariche di diarrea

costipazione

mal di testa

tosse

conati di vomito

meteorismo

 

È importante rivolgersi subito ad un medico nel caso di:

rash

orticaria

prurito

difficoltà a respirare

senso di pesantezza o oppressione al petto

gonfiore a bocca, volto, labbra o lingua

 

Controindicazioni e avvertenze

Se si è in trattamento con altri medicinali, è opportuno assumerli almeno un’ora prima o tre ore dopo il sevelamer.

È inoltre opportuno chiedere al proprio medico quali cibi contengano più fosforo e in quali quantità dovrebbero essere consumati.

Prima di assumerlo è importante informare il medico:

circa la presenza di eventuali allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti, a qualsiasi altro farmaco, ad alimenti o ad altre sostanze

dei medicinali, dei fitoterapici e degli integratori già assunti in passato (in particolare ciclosporine, litio, teofillina, anticonvulsivanti, medicinali contro irregolarità del battito cardiaco, warfarin e prodotti a base di erbe o vitamine)

se si soffre (o si è sofferto nel pregresso) di difficoltà di deglutizione o problemi gastrointestinali

in caso di interventi chirurgici a stomaco o intestino

in caso di donne gravide o in fase di allattamento

È importante far sapere a medici, chirurghi e dentisti dell’assunzione di sevelamer.

Silodosina

Silodosina

 

La Silodosina si usa nella cura dell’ipertrofia prostatica benigna.

 

Che cos’è la Silodosina?

La Silodosina opera rilassando i muscoli della prostata e della vescica, collaborando così a migliorare il flusso dell’urina e a minimizzare i sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna.

 

Come si prende la Silodosina?

La Silodosina si prende per bocca, ai pasti, di solito in forma di capsule.

 

Effetti collaterali della Silodosina

In rari casi la Silodosina può provocare erezioni prolungate e dolorose. Tra gli altri suoi eventuali effetti collaterali troviamo anche:

capogiri

disturbi nella sfera sessuale

 

È meglio avvertire immediatamente un dottore in presenza di:

rash

orticaria

prurito

problemi respiratori o di deglutizione

sensazione di oppressione al petto

gonfiore di bocca, viso, labbra o lingua

urine scure

svenimenti

erezione prolungata e dolorosa

capogiri gravi o continui

lividi

Ittero

 

Avvertenze

Il medicinale può alterare le capacità di guida o di manovrare macchinari pericolosi, principalmente se preso con alcolici o con certi altri medicinali. Inoltre, può provocare capogiri e svenimenti quando ci si alza rapidamente, effetto che può essere aggravato da alcol, caldo, attività fisica e febbre.

La Silodosina non si deve prendere in presenza di seri disturbi ai reni o al fegato e se si è in cura con un altro alfa bloccante, ketoconazolo, boceprevir, claritromicina, cobicistat, ciclosporina, itraconazolo, nefazodone, posaconazolo, ritonavir, telaprevir, o telitromicina

Prima di cominciare la cura è anche fondamentale avvertire il dottore:

di probabili allergie al principio attivo, ai suoi eccipienti o a ogni altro medicinale o cibo

degli altri farmaci, dei fitoterapici e degli integratori che si stanno prendendo, nello specifico alfa bloccanti, inibitori della fosfodiesterasi, medicinali per la pressione elevata, antifungini azolici, claritromicina, cobicistat, ciclosporina, diltiazem, eritromicina, nefazodone, probenecid, inibitori della proteasi, telitromicina, acido valproico o verapamil

se si soffre (o si ha sofferto) di disturbi renali o epatici, tumore alla prostata o disturbi di pressione

se si ha in programma un intervento chirurgico agli occhi

in presenza di gravidanza o allattamento al seno

È anche fondamentale avvertire dottori, chirurghi e dentisti che si prende silodosina.

Sindrome da prolasso valvolare mitralico

Sindrome da prolasso valvolare mitralico

 

La sindrome da prolasso valvolare mitralico è una patologia caratterizzata da un’alterazione di una delle valvole cardiache, la valvola mitrale, indicata come “prolasso della valvola mitrale”. Se si ha un corretto funzionamento del cuore la valvola mitrale si chiude completamente durante la contrazione del ventricolo sinistro e impedisce al sangue di refluire nell’atrio sinistro; nei soggetti affetti da prolasso mitralico uno (più spesso il posteriore) o entrambi i lembi della valvola sbandiera in atrio sinistro quando il ventricolo sinistro si contrae, impedendo la perfetta chiusura della valvola.

Che cos’è la sindrome da prolasso valvolare mitralico?

In condizioni normali la valvola mitrale è costituita da due sottili lembi mobili legati attraverso corde tendinee a due muscoli (i muscoli papillari) che, nel contrarsi insieme al ventricolo sinistro dove sono collocati impediscono lo sbandieramento dei lembi mitralici nell’atrio sinistro: i margini dei lembi vengono separati quando la valvola si apre, consentendo il passaggio del sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro, e si riavvicinano quando la valvola si chiude, impedendo al sangue di tornare indietro. Il prolasso valvolare mitralico è lo sbandieramento in atrio sinistro di uno o entrambi i lembi della valvola mitrale quando il ventricolo sinistro si contrae. Questo difetto valvolare interessa il 6% della popolazione circa, e colpisce in particolar modo il sesso femminile.

Da cosa può essere causata la sindrome da prolasso valvolare mitralico?

Si parla di forme “primarie” di prolasso valvolare mitralico – che possono essere familiari e non familiari – quando alla base ci sono condizioni come la sindrome di Marfan o altre patologie del connettivo; queste forme sono caratterizzate da un’esuberanza di tessuto nei lembi valvolari. Si parla di forme “secondarie” quando il prolasso è provocato da altre problematiche che coinvolgono il cuore, tra cui: cardiopatia ischemica, endocardite, difetto interatriale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, forme tumorali.

Con quali sintomi si manifesta la sindrome da prolasso valvolare mitralico?

Nella maggior parte dei casi questa valvulopatia non è associata a sintomi particolari e consente di vivere una vita normale. Alcuni sintomi comunque possono essere:

dolore retrosternale prolungato, non associato all’esercizio fisico

palpitazioni

sincopi (ossia svenimenti)

Come si può prevenire la sindrome da prolasso valvolare mitralico?

Purtroppo non è possibile prevenire questo tipo di valvulopatia. Tuttavia, si può ridurre la probabilità di sviluppare le complicazioni a essa correlate seguendo le indicazioni del medico e assumendo i medicinali consigliati, quando vengono prescritti.

Diagnosi

Spesso questa valvulopatia risulta asintomatica e si ha una diagnosi spesso occasionale. La diagnosi è suggerita dal riscontro all’auscultazione cardiaca dei reperti tipici di questa valvulopatia (click seguito da un soffio). Sarà il medico poi a decidere se richiedere degli esami strumentali, come:

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Di solito è normale, ma a volte si possono riscontrare alterazioni della ripolarizzazione o aritmie.

Ecocardiogramma: è un test basato sull’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). È l’esame più importante: permette la visualizzazione accurata del movimento dei lembi mitralici, permettendo un’appropriata valutazione dell’entità del prolasso e del suo meccanismo.

ECG dinamico secondo Holter: l’Holter è il monitoraggio prolungato nelle 24 ore dell’ECG. È indicato nei soggetti che segnalano palpitazioni per la valutazione di eventuali aritmie.

Test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma nel momento in cui il paziente compie un esercizio fisico, generalmente mentre cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette. Il test viene effettuato seguendo protocolli predefiniti, allo scopo di valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico. Viene interrotto alla comparsa di sintomi, alterazioni ECG o pressione elevata o una volta raggiunta l’attività massimale per quel paziente in assenza di segni e sintomi indicativi di ischemia. Viene suggerito per i soggetti che riferiscono sincopi o dolore toracico.

Trattamenti

Nella maggior parte dei casi il prolasso della valvola mitrale è asintomatico e il trattamento non risulta necessario. Sono opportuni periodici controlli clinici ed ecocardiografici. Se ci sono aritmie, può essere prescritto l’impiego di antiaritmici; i farmaci di prima scelta sono i beta-bloccanti.

 

Sindrome del QT Lungo (LQTS)

Sindrome del QT Lungo (LQTS)

 

È una cardiopatia provocata da un difetto del battito cardiaco, difetto del processo di ripolarizzazione ventricolare (fase successiva alla contrazione ventricolare) che in questi pazienti avviene in un tempo più lungo rispetto alla norma. Questa fase del battito è indicata come intervallo QT e risulta allungata in modo patologico nei pazienti affetti da LQTS. Questa anomalia elettrica del battito cardiaco si presenta con una grande disomogeneità elettrica della ripolarizzazione ventricolare, il miocardio ventricolare diventa altamente vulnerabile; l’extrasistole che insorge in tale periodo può innescare un’aritmia rapidissima, sincopale e spesso fatale.

Le aritmie ventricolari da LQTS, come per esempio torsioni di punta o tachicardie ventricolari, si presentano con una perdita di coscienza (sincopi). Le anomalie della ripolarizzazione ventricolare sono originate da alterazioni di alcune proteine responsabili del trasporto degli ioni potassio e sodio mediante la membrana delle cellule cardiache, funzione fondamentale per il mantenimento della normale attività elettrica del cuore. I difetti di questi canali possono avere un carattere genetico (nelle forme ereditarie della sindrome), ma possono anche essere provocati dall’azione di alcuni farmaci come antiaritmici, antimicotici ecc.

Fra le LQTS genetiche si possono distinguere forme simili tra loro ma secondarie ad alterazioni in geni diversi. Sono stati identificati diversi geni, le cui mutazioni causano LQTS: ad esempio gene KCNQ1 o KvLQT1 cromosoma 11 che genera LQT1, gene KCNH2 o HERG cromosoma 7 che genera LQT2 ecc. Solitamente la sindrome del QT lungo viene trasmessa con modalità autosomica dominante.

Diagnostica

Elettrocardiogramma a 12 derivazioni

Trattamenti

Terapia con farmaci betabloccanti o con farmaci a base di potassio

Impianto del defibrillatore

Sindrome di Brugada

Sindrome di Brugada

 

Che cos’è la sindrome di Brugada e chi colpisce?

Entità clinica descritta nel 1992 dai fratelli Brugada, correlata a un rischio aumentato di morte cardiaca improvvisa in assenza di una cardiopatia strutturale. L’incidenza di eventi letali è più alto nei maschi nella terza e quarta decade di vita. Si tratta di una patologia genetica che coinvolge alcuni canali ionici, strutture poste sulla superficie delle cellule del cuore, provocandone un malfunzionamento e generando in tal modo degli squilibri nell’attività elettrica aumentando il rischio di insorgenza di aritmie potenzialmente fatali.

È caratterizzata dal punto di vista elettrocardiografico da un sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni precordiali di destra (V1-V2-V3, al quarto spazio intercostale a destra e sinistra dello sterno), le derivazioni che registrano l’attività elettrica del tratto di efflusso del ventricolo destro.

La genetica nella sindrome di Brugada

L’alterazione delle correnti ioniche nella sindrome di Brugada riconosce un’origine genetica con trasmissione autosomica dominante: la prima mutazione che è risultata essere associata alla sindrome è un’alterazione nel gene che codifica per la proteina che costituisce il canale del sodio. Al momento una specifica mutazione genetica viene identificata nel 18-30% dei pazienti colpiti, ma con il progredire della ricerca genetica nuove mutazioni a carico di questo e di altri geni vengono progressivamente descritte.

Diagnostica

L’aspetto dell’elettrocardiogramma è di notevole importanza. La manifestazione elettrocardiografica nei soggetti colpiti non risulta costante, caratteristica che rende problematica la diagnosi di questa condizione. In presenza di tracciato anche solo sospetto, è opportuno effettuare una valutazione con ecg dinamico sec. holter al fine di valutare l’andamento dell’elettrocardiogramma nelle 24 ore. Il sopraslivellamento del tratto ST tipico è detto “a tenda”, poiché tende a discendere in linea retta fino a oltrepassare la linea isoelettrica e continuarsi con una onda T negativa. Il pattern a tenda è denominato di tipo 1; esistono i pattern tipo 2 con un sopra ST a concavità superiore di entità superiore a 1 mm, e di tipo 3 con sopraslivellamento inferiore a 1 mm (cosiddetto aspetto “a sella”). In un singolo paziente si possono riscontrare in diversi momenti diversi aspetti ECGgrafici, di cui il tipo I è ritenuto diagnostico.

L’aspetto ECG configura il fenomeno di Brugada; per poter definire la sindrome tuttavia è necessario avere anche il sintomo, ossia uno dei seguenti:

Fibrillazione ventricolare documentata

Tachicardia ventricolare polimorfa

Storia familiare di morte improvvisa in età < 45 anni

ECG con onda j e sopraslivellamento convesso di ST in membri della famiglia

Inducibilità di tachicardia ventricolare con la stimolazione programmata allo studio elettrofisiologico

Sincope

Respiro agonico notturno

Prima di effettuare una diagnosi di Brugada è necessario escludere altre cause che possono determinare un aspetto ECGgrafico simile: le miocarditi, la displasia aritmogena del ventricolo destro, l’assunzione cronica di alcuni farmaci o semplicemente la pratica sportiva intensa.

La particolare alterazione ECGgrafica nel fenomeno di Brugada è secondaria a uno squilibrio tra le correnti ioniche entranti e uscenti dalle cellule cardiache; è determinata in genere da una ridotta funzione dei canali che conducono la corrente entrante del sodio. La presenza di una corrente uscente di potassio (Ito), che è particolarmente rappresentata a livello del tratto di efflusso del ventricolo destro e che non viene controbilanciata da quella del sodio, evidenzia l’aspetto ECG in questa particolare sede.

La somministrazione di farmaci bloccanti i canali del sodio accentua le alterazioni dell’ECG e provoca la transizione dal tipo 2 o 3 al tipo 1.

Il rischio aritmico è determinato da una marcata eterogeneità nella polarizzazione di aree miocardiche adiacenti, vista la non uniforme distribuzione dello squilibrio tra le correnti ripolarizzanti e depolarizzanti. Questo facilita fenomeni di rientro che provocano aritmie ventricolari polimorfe, che a loro volta possono degenerare in fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco.

Il test con farmaci bloccanti i canali del sodio

Se si ha un sospetto ECGgrafico di fenomeno di Brugada, anche nei familiari dei pazienti colpiti è stato proposto di eseguire un test provocativo con farmaci bloccanti i canali del sodio, che possono portare alla manifestazione di un quadro conclamato e alla diagnosi. Sarebbe razionale somministrare un farmaco che riduca la funzione del canale di cui già si sospetta un ridotto funzionamento, accentuando lo squilibrio con le correnti ripolarizzanti. I farmaci generalmente somministrati sono la flecainide, l’ajmalina, la procainamide ev. Generalmente si eseguono questi test in regime di ricovero in day hospital: previa costante monitorizzazione elettrocardiografica, si procede con l’esecuzione di un’infusione della durata di 10 minuti ed una successiva osservazione di ulteriori 10 minuti. Nel caso in cui il test risulti positivo e quindi ci sia l’eventuale necessità di ulteriori accertamenti, la degenza potrebbe essere prolungata.

Lo studio elettrofisiologico

Non per tutti i pazienti colpiti dal fenomeno di Brugada esiste un elevato rischio di morte improvvisa. Lo studio elettrofisiologico è stato proposto per testare la vulnerabilità aritmica ventricolare in pazienti con familiarità per morte cardiaca improvvisa, con pattern diagnostico spontaneo. Nel caso in cui il test risulti positivo per aritmie ventricolari pericolose, viene proposto il posizionamento di un defibrillatore impiantabile (ICD).

Trattamenti

L’unica terapia per cui esiste una prova di efficacia è il posizionamento di un defibrillatore impiantabile; viene proposto a pazienti sintomatici nei quali è presente un pattern di tipo 1, sia spontaneo che determinato da somministrazione di farmaci bloccanti i canali del sodio, e a pazienti nei quali si manifestano sintomi come sincope, respiro agonico notturno, lipotimie, una volta escluse tutte le cause non cardiache.

I pazienti asintomatici nei quali è evidente un pattern ECG Brugada spontaneo dovrebbero essere sottoposti a uno studio elettrofisiologico e, in caso di positività per aritmie ventricolari maligne, dovrebbero ricevere un defibrillatore impiantabile.

Se la terapia con defibrillatore impiantabile o le aritmie ricorrenti con interventi ripetuti del defibrillatore risultano inaccessibili, una terapia farmacologica con chinidina (bloccante sia della corrente uscente di potassio sia della corrente del sodio) può limitare l’eterogeneità di polarizzazione e ridurre il rischio aritmico.

Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW)

Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW)

 

Che cos’è la sindrome di Wolff-Parkinson-White?

In condizioni fisiologiche la conduzione dell’impulso elettrico dagli atrii ai ventricoli avviene su un’unica via rappresentata dal nodo atrio-ventricolare e fascio di His. Il nodo atrio-ventricolare ha caratteristiche elettrofisiologiche di velocità di conduzione e tempo di refrattarietà tali da costituire un filtro in grado di proteggere i ventricoli dalla conduzione di impulsi atriali troppo rapidi e potenzialmente pericolosi. In alcuni casi esistono vie di conduzione dette accessorie (VA) tra atrii e ventricoli che possono essere localizzate in vari siti degli anelli valvolari tricuspidalico e mitralico. Per le loro caratteristiche elettrofisiologiche, simili alle cellule del muscolo cardiaco comune, queste vie accessorie non hanno la funzione di filtro tipica del nodo atrioventricolare, e in alcuni casi possono condurre gli impulsi ai ventricoli a frequenze molto elevate. Durante il ritmo sinusale una via accessoria si manifesta all’elettrocardiogramma con la pre-eccitazione ventricolare e la presenza di un’onda “delta”: la conduzione attraverso la via accessoria non è sottoposta a un rallentamento come all’interno del nodo atrioventricolare e l’intervallo PQ dell’elettrocardiogramma (che rappresenta appunto il percorso dell’impulso elettrico dagli atrii ai ventricoli) è più breve del normale (pre-eccitazione). Inoltre l’estremità ventricolare della via accessoria si inserisce nel muscolo cardiaco comune anziché essere in continuità con il sistema specializzato di conduzione: per questo motivo la depolarizzazione di una parte dei ventricoli si verifica in modo più lento, e si traduce in un aspetto elettrocardiografico detto onda “delta”.

Se la presenza di una via accessoria è correlata a episodi di palpitazione si parla di Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Le palpitazioni possono dipendere da “aritmie da rientro”, che sono provocate da un corto circuito in cui l’impulso solitamente raggiunge i ventricoli tramite il nodo atrioventricolare e rientra negli atrii mediante la via accessoria percorsa in senso inverso. L’aritmia viene perpetuata fino a quando una delle due vie (nodo o via accessoria) risulta non essere più capace di condurre. In alcuni casi meno frequenti il circuito è percorso al contrario, ossia la via accessoria è utilizzata nel senso dagli atrii ai ventricoli, mentre l’impulso rientra agli atrii attraverso il fascio di His e il nodo atrioventricolare. In altri casi la via accessoria non direttamente parte del meccanismo che perpetua l’aritmia, ma può contribuire alla conduzione ai ventricoli di aritmie degli atrii (fibrillazione atriale/flutter atriale/tachicardia atriale). Se le capacità di conduzione della VA sono molto elevate (breve tempo di refrattarietà) la frequenza ventricolare che ne consegue può essere molto rapida (> 250 battiti al minuto) e mettere a rischio di aritmie ventricolari rapide e di arresto cardiaco.

Come effettuare la diagnosi

La diagnosi di sindrome di wpw è clinica ed elettrocardiografica. Da un punto di vista clinico è possibile che si manifesti con palpitazioni secondarie alle su menzionate aritmie da rientro; dal punto di vista elettrocardiografico risultano caratteristici l’accorciamento dell’intervallo pq e la presenza di onda delta.

Trattamenti

Il trattamento degli episodi acuti di aritmie da rientro nella Sindrome di WPW comprende farmaci che agiscono bloccando la conduzione tramite il nodo atrioventricolare, interrompendo uno dei bracci dell’aritmia. In caso di fibrillazione atriale condotta rapidamente attraverso la via accessoria, invece, bisogna evitare questi farmaci in quanto possono, in certi casi, incrementare la frequenza di conduzione ai ventricoli attraverso la via accessoria.

Se si manifesta una pre-eccitazione ventricolare e a prescindere dalla presenza di sintomi aritmici, è consigliabile sottoporsi a studio elettrofisiologico per investigare sulle capacità conduttive della via accessoria e la inducibilità di aritmie. Se la via accessoria ha elevate capacità conduttive e presenta il rischio di frequenze ventricolari elevate durante eventuali episodi di fibrillazione atriale, o quando si manifestano sintomi e aritmie da rientro, è opportuno procedere alla ablazione della via accessoria.

Con lo studio elettrofisiologico è possibile identificare la sede della via accessoria, che determinerà l’approccio utilizzato per l’ablazione: in presenza di una via situata nelle sezioni destre del cuore l’accesso avviene generalmente attraverso la vena femorale destra.

Per le vie sinistre saranno possibili un accesso venoso e successiva puntura transettale per passare dall’atrio destro all’atrio sinistro, oppure un approccio “retrogrado” tramite le arterie femorale e aorta. È la radiofrequenza l’energia che viene utilizzata per l’ablazione. Dopo un’ablazione efficace si potranno prevenire episodi di aritmia da rientro tramite la via accessoria e l’elettrocardiogramma non potrà più visualizzare l’onda delta. Generalmente l’efficacia a lungo termine dell’ablazione è molto elevata e supera il 95%.

Dopo un’ablazione efficace e in mancanza di altri tipi di aritmia o di cardiopatia, non risulta necessario procedere ad alcuna terapia farmacologica.

Sindrome premestruale

Sindrome premestruale

 

La sindrome premestruale è tipica delle donne in età fertile; racchiude una combinazione di sintomi di tipo fisico e psicologico. I sintomi si manifestano sempre nei giorni che precedono le mestruazioni e si risolvono al loro arrivo.

 

Che cos’è la sindrome premestruale?

Molte donne riferiscono disturbi nei giorni vicini al ciclo mestruale, ma non per tutte si parla di sindrome premestruale. La sindrome premestruale, infatti, racchiude un insieme di sintomi, di tipo fisico e psicologico, che si presentano sempre nei giorni che precedono le mestruazioni. È quindi una sindrome tipica delle donne in età fertile e ne interessa dal 2% al 5%.

 

Quali sono i sintomi della sindrome premestruale?

In molti casi, la condizione ed i sintomi associate può avere notevoli ripercussioni nella vita sociale, nelle relazioni personali e al lavoro.

 

I sintomi caratteristici includono:

cambiamenti di umore con irritabilità, tendenza alla depressione, aggressività

maggior stanchezza

tensione mammaria

attacchi di fame (soprattutto rivolta ai dolci)

crisi di pianto

minor capacità di concentrazione

cefalea

gonfiore (alcune donne registrano anche un aumento di peso in quei giorni)

 

Quali sono le cause della sindrome premestruale?

Le cause possono essere molteplici:

  • una diminuzione nell’organismo delle sostanze responsabili dello stato di benessere (come la serotonina);
  • un disequilibrio nel rapporto tra estrogeni e progesterone (il dosaggio ormonale non rileva modificazioni di questi ormoni e in particolare del progesterone, rispetto alla norma, ma è probabilmente il metabolismo del progesterone stesso che risulta cambiato, conducendo alla manifestazione dei sintomi);
  • un’alterazione nel ricambio idrosalino con conseguente calo di alcune sostanze, come il magnesio, che comporta cefalea, crampi e gonfiore. Viene chiamato in causa anche un deficit vitaminico.

 

Diagnosi

Le donne che riferiscono sintomi in fase pre mestruale sono invitate a compilare un diario in cui annotare, mese per mese, i disturbi e i segni e sintomi

più frequenti: questo consente al ginecologo di verificare la periodicità dei sintomi stessi e diagnosticare quindi una sindrome premestruale vera e propria. La ripetitività dei sintomi per almeno 4-5 mesi è un dato significativo per la diagnosi.

 

Trattamenti

È consigliabile prestare attenzione all’alimentazione: diminuire l’apporto di sale, l’assunzione di alcol e di caffè e il consumo di dolci; al contrario, è importante un corretto apporto idrico (bere almeno due litri di acqua al giorno).

Possono essere di aiuto gli integratori minerali a base, per esempio, di magnesio e calcio e/o la supplementazione di vitamine (E, B6). Alcuni studi suggeriscono anche l’assunzione di soia: i fitoestrogeni che vi sono contenuti contribuirebbero a riequilibrare il rapporto tra estrogeni e progesterone.

In commercio esistono preparati che contengono tutte queste sostanze con l’aggiunta di altri rimedi naturali, come l’agnocasto, il gingko biloba o l’olio di enotera.

È racommandato dedicarsi a un moderato esercizio fisico (camminare, nuotare, correre) o ad attività quali pilates, yoga e shiatsu.

In alcuni casi viene prescritta l’assunzione della pillola anticoncezionale che, inibendo l’ovulazione, permette un bilanciamento migliore tra estrogeni e progesterone, contrastando l’ insorgenza dei sintomi caratteristici della sindrome premenstruale.