Cardiomiopatia restrittiva

Cardiomiopatia restrittiva

 

La cardiomiopatia restrittiva è una condizione caratterizzata dall’aumento della rigidità delle pareti ventricolari, per cui il cuore non riesce a riempirsi adeguatamente (vi è cioè una “disfunzione diastolica”): la conseguenza è una diminuzione della quantità di sangue pompata (insufficienza cardiaca “diastolica” o “con conservata frazione di eiezione”). Nelle fasi iniziali la capacità del cuore di contrarsi (funzione sistolica) può risultare normale, ma con il progredire della patologia in genere si registra un deterioramento anche della funzione sistolica.

Che cos’è la cardiomiopatia restrittiva?

La cardiomiopatia restrittiva si manifesta spesso con un’insufficienza cardiaca rapidamente progressiva refrattaria alla terapia, specialmente in caso di amiloidosi. Solitamente il cuore ha delle dimensioni normali o solo leggermente aumentate. Purtroppo la prognosi, che è strettamente collegata alla causa alla base della cardiomiopatia, si rivela spesso sfavorevole e la sopravvivenza media dopo la diagnosi è di 9 anni.

Da cosa può essere causata la cardiomiopatia restrittiva?

Per circa il 50% dei casi la cardiomiopatia restrittiva risulta derivare da patologie specifiche, mentre nel resto dei casi è di natura idiopatica. È l’infiltrazione determinata dall’amiloidosi la causa più comune di cardiomiopatia restrittiva. Ma le cause possono anche essere l’interessamento cardiaco da sindrome da carcinoide, la fibrosi endomiocardica, la sindrome di Loeffler, la sindrome ipereosinofila, l’emocromatosi, la radioterapia e la chemioterapia con antracicline, la sclerodermia, la sarcoidosi, le malattie da accumulo. È possibile, inoltre, che la cardiomiopatia restrittiva compaia dopo un trapianto di cuore.

Con quali sintomi si manifesta la cardiomiopatia restrittiva?

Il quadro clinico della cardiomiopatia restrittiva è caratterizzato prevalentemente dalle manifestazioni dello scompenso cardiaco. Solitamente la comparsa dei sintomi è lenta, ma in alcuni casi possono presentarsi anche improvvisamente apparendo gravi fin dai primi momenti. I più diffusi sono tosse, difficoltà respiratorie e fiato corto (durante l’attività fisica o da sdraiati di notte), stanchezza e scarsa resistenza all’esercizio fisico, inappetenza, gonfiore addominale, dei piedi e delle caviglie e battiti cardiaci rapidi o irregolari. A questi disturbi si possono associare dolori al petto, perdita di concentrazione, riduzione della quantità di urina prodotta e, negli adulti, bisogno di urinare anche di notte.

Come prevenire la cardiomiopatia restrittiva?

Per gran parte delle situazioni non è possibile fare molto per prevenire la cardiomiopatia restrittiva. Talvolta il trattamento precoce della sarcoidosi e dell’emocromatosi, così come delle malattie da accumulo può evitarne l’insorgenza.

Diagnosi

Il medico può avere un sospetto di una cardiomiopatia restrittiva se durante una visita rileva turgore delle vene del collo o ingrossamento del fegato, rumori polmonari e cardiaci anomali, accumulo di fluidi nelle zone declivi, e il paziente manifesta sintomi da scompenso cardiaco.

Per una conferma della diagnosi si possono prescrivere alcune analisi come:

Analisi del sangue: che possono evidenziare ipereosinofilia (ossia importante aumento dei leucociti eosinofili), in caso di sindrome ipereosinofila o sindrome di Loeffler; ferritina assai alta, sideremia e percentuale di saturazione della transferrina elevate nell’emocromatosi; componenti monoclonali, in caso di amiloidosi; deficit di enzimi specifici nelle malattie da accumulo; elevazione del BNP (brain natriuretic peptide).

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Può mostrare molteplici alterazioni, tra cui bassi voltaggi nell’amiloidosi, e aritmie, come la fibrillazione atriale.

Ecocardiogramma: è un test basato su un’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Mostra segni di disfunzione diastolica, dilatazione degli atri e, non di rado, aumento degli spessori parietali associato ad alterata ecogenicità in caso di patologie infiltrative.

Cateterismo cardiaco: metodologia invasiva basata sull’introduzione di un piccolo tubo (catetere) in un vaso sanguigno; il catetere viene poi spinto fino al cuore e permette l’acquisizione di informazioni importanti sul flusso e sull’ossigenazione del sangue. Le pressioni di riempimento sono elevate e la portata cardiaca (la quantità di sangue pompata dal cuore) è ridotta.

Biopsia endomiocardica: viene svolta mentre si esegue il cateterismo cardiaco tramite l’utilizzo di uno strumento chiamato biotomo. Di solito le biopsie vengono effettuate sul lato destro del setto interventricolare. Risulta utile per escludere patologie infiltrative come l’amiloidosi o infiammatorie come la sarcoidosi.

Risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto: vengono prodotte immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni tramite la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Grazie alla sua capacità di dare informazioni sulla struttura del miocardio, rende possibile a volte individuare la causa della cardiomiopatia restrittiva, come nel caso dell’amiloidosi, dell’emocromatosi o della sarcoidosi.

RX torace (radiografia del torace): può rendere possibile l’individuazione della presenza di congestione polmonare (accumulo di liquidi nei polmoni); nel caso di sarcoidosi, può documentare ingrandimento bilaterale dei linfonodi localizzati a livello dell’ilo polmonare.

Trattamenti

Quando si è in grado di individuare la causa della cardiomiopatia restrittiva, il suo trattamento può consentire di controllare la malattia. Purtroppo, però, i trattamenti davvero efficaci sono pochi. Gli obiettivi principali sono il controllo dei sintomi e il miglioramento della qualità di vita del paziente. Per raggiungere tali obiettivi possono essere prescritti:

diuretici, in caso di accumulo di liquidi

farmaci per controllare eventuali irregolarità del battito cardiaco

farmaci anticoagulanti

 

 

Cardiomiopatie

Cardiomiopatie

 

Le cardiomiopatie sono patologie che interessano il muscolo cardiaco riducendo l’efficienza del cuore, che fatica a pompare il sangue nel resto del corpo.

Che cosa sono le cardiomiopatie?

Le cardiomiopatie sono suddivise in tre tipi: dilatative, ipertrofiche e restrittive. Le cardiomiopatie dilatative sono le più comuni: sono caratterizzate da problemi al ventricolo sinistro che si dilata e non riesce a pompare efficacemente il sangue. Le cardiomiopatie ipertrofiche sono invece correlate a una crescita o a un anomalo ispessimento del muscolo cardiaco che compromette la funzionalità del cuore. Nelle forme restrittive, infine, il muscolo cardiaco perde elasticità e si irrigidisce. Una cardiomiopatia può comportare alcune complicazioni fra cui si possono includere lo scompenso cardiaco, la formazione di trombi, problemi alle valvole cardiache, morte improvvisa.

Da cosa possono essere causate le cardiomiopatie?

Più di metà dei casi di cardiomiopatia dilatativa – soprattutto nelle età avanzate – viene determinata da una causa di tipo ischemico (un precedente infarto miocardico o una malattia delle coronarie); nelle fasce di età più giovani è più comune la forma cosiddetta idiopatica (cioè di cui non si conosce la causa); in una minoranza di queste forme viene riscontrato un aspetto ereditario; altre cause sono associate all’ipertensione, a malattie delle valvole cardiache, a tachicardie molto rapide e prolungate, all’abuso di alcool e di droghe (cocaina, eroina, anfetamine), ad alcuni farmaci chemioterapici; forme più rare sono correlate all’infezione da HIV e ad altre malattie infettive. Le forme ipertrofiche hanno per lo più un’origine genetica. Non sono molto diffuse le forme restrittive: alcune sono determinate da un’infiltrazione del muscolo cardiaco, come l’amiloidosi, l’emocromatosi, la sarcoidosi; altre forme sono definite idiopatiche (non se ne conosce la causa).

Con quali sintomi si manifestano le cardiomiopatie?

Nelle loro fasi iniziali le cardiopatie possono rimanere asintomatiche, ma con il progredire della malattia ci potrebbero essere dei disturbi legati all’insufficienza cardiaca, come difficoltà respiratorie (sia sotto sforzo che a riposo), gonfiori a gambe, caviglie e piedi, dilatazioni dell’addome dovute all’accumulo di fluidi, tosse, affaticamento, battiti irregolari o episodi di palpitazioni, vertigini e svenimenti. Questi sintomi generalmente hanno la tendenza a peggiorare nel tempo indipendentemente dal tipo di cardiomiopatia.

Come si possono prevenire le cardiomiopatie?

La migliore prevenzione è rappresentata da un corretto stile di vita e dall’eliminazione dei fattori di rischio: condurre una vita sana, fare regolarmente attività fisica (almeno mezz’ora di camminata a passo rapido tre volte la settimana), seguire un regime alimentare sano (non esagerare con il sale, consumare tanta frutta, verdura, pesce, pochi grassi animali, cibi sani e semplici, pochi cibi “industriali”), mantenere un peso corretto (l’eccesso di peso affatica il cuore), evitare tabacco e sostanza nocive come cocaina, anfetamina, anabolizzanti, droghe, evitare l’eccesso di alcol; curare scrupolosamente le condizioni che costituiscono un “fattore di rischio” per il cuore, come ipertensione arteriosa, diabete mellito, elevati livelli di colesterolo nel sangue.

Diagnosi

La diagnosi di cardiomiopatia è basata su un’accurata visita medica in cui il medico indagherà anche sulla presenza di eventuali problemi cardiologici in famiglia.

Al termine della visita il medico potrebbe prescrivere:

una radiografia del torace

un elettrocardiogramma

un ecocardiogramma

un test da sforzo

una scintigrafia miocardica

una risonanza magnetica cardiaca

esami del sangue

 

In base ai risultati di questi esami potrebbe risultare necessario eseguire ulteriori esami di secondo livello, come coronarografia, studio emodinamico, biopsia miocardica.

Trattamenti

Il trattamento più idoneo dipende dal tipo di cardiomiopatia e dal tipo di disturbo presente. Lo scopo è però sempre ridurre i sintomi, prevenire il peggioramento della situazione e ridurre il rischio di complicazioni.

In situazione di cardiomiopatia dilatativa potrebbe essere necessario assumere farmaci (come ACE-inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina, beta-bloccanti, diuretici e digossina), sottoporsi a interventi chirurgici per l’impianto di particolari pacemaker o defibrillatori, o iniziare un trattamento combinato farmaci-intervento.

In caso di cardiomiopatia ipertrofica si potrebbero prescrivere beta-bloccanti, calcio-antagonisti o particolari antiaritmici. Nel caso in cui il trattamento farmacologico non risultasse sufficiente potrebbe essere necessario un intervento chirurgico correttivo o l’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore.

Il trattamento delle cardiomiopatie restrittive ha essenzialmente come obiettivo il miglioramento dei sintomi. Il medico può consigliare di ridurre il consumo di sale e di tenere quotidianamente sotto controllo il peso. Potrebbe essere necessario prescrivere diuretici o farmaci per ridurre la pressione e tenere sotto controllo il battito cardiaco. Nel caso in cui venisse identificata la causa della cardiomiopatia, verranno prescritti anche trattamenti specifici contro la problematica sottostante.

Nei casi più gravi in cui la malattia progredisce nonostante i trattamenti potrebbe essere necessario un trapianto o l’impianto di un dispositivo di assistenza ventricolare (VAD).

Cardiopatia ischemica

Cardiopatia ischemica

 

La cardiopatia ischemica include tutte le condizioni in cui si verifica un insufficiente apporto di sangue e di ossigeno al muscolo cardiaco. La causa più frequente è l’aterosclerosi, caratterizzata dalla presenza di placche ad elevato contenuto di colesterolo (ateromi) nelle arterie coronarie, capaci di ostruire o ridurre il flusso di sangue. La cardiopatia ischemica presenta manifestazioni cliniche differenti quali l’angina pectoris (stabile e instabile) e l’infarto del miocardio.

 

Che cos’è la cardiopatia ischemica?

L’attività del cuore è caratterizzata da un equilibrio tra il fabbisogno di ossigeno del muscolo cardiaco e il flusso di sangue. Il cuore, infatti, è un organo che utilizza grandi quantità di ossigeno per il proprio metabolismo. In presenza di patologie o condizioni che alterano questo equilibrio si può generare una riduzione acuta o cronica, permanente o transitoria, dell’apporto di ossigeno (ipossia o anossia) e degli altri nutrienti, che può a sua volta danneggiare il muscolo cardiaco, riducendone la funzionalità (insufficienza cardiaca). L’ostruzione improvvisa delle coronarie può condurre all’infarto miocardico con un elevato rischio di arresto circolatorio e decesso. Va ricordato che la patologia aterosclerotica e la cardiopatia ischemica sono la principale causa di morte nel mondo Occidentale.

 

Quali sono le cause della cardiopatia ischemica?

Si distinguono cause di cardiopatia ischemica e fattori predisponenti, meglio noti come fattori di rischio cardiovascolare.

Le cause più frequenti di cardiopatia ischemica sono:

aterosclerosi, malattia che coinvolge le pareti dei vasi sanguigni attraverso la formazione di placche a contenuto lipidico o fibroso, che evolvono verso la progressiva riduzione del lume o verso l’ulcerazione e la formazione brusca di un coagulo sovrastante il punto di lesione. L’aterosclerosi delle arterie coronarie è la causa più frequente di angina e infarto miocardico.

spasmi coronarici, una condizione relativamente poco frequente che porta a una contrazione (spasmo) improvvisa e temporanea dei muscoli della parete dell’arteria, con riduzione o ostruzione del flusso di sangue.

I fattori di rischio cardiovascolare sono:

ipercolesterolemia o aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, che innalza proporzionalmente il rischio di aterosclerosi.

-ipertensione arteriosa: la “pressione alta” o ipertensione arteriosa può avere varie cause e interessa una larga fetta della popolazione di età superiore ai 50 anni. Si associa a una aumentata probabilità di sviluppare l’aterosclerosi e le sue complicanze.

diabete, che unita a ipertensione e ipercolesterolemia compone la sindrome metabolica, un quadro ad alto rischio di ischemia cardiaca.

-stress

-vita sedentaria

-obesità

-fumo

-predisposizione genetica

 

Quali sono i sintomi della cardiopatia ischemica?

-dolore toracico (angina pectoris o dolore anginoso), con pressione e dolore al petto, che può irradiarsi al collo e alla mascella. Può manifestarsi anche al braccio sinistro oppure alla bocca dello stomaco, confondendosi talvolta con sintomi analoghi a una banale pesantezza addominale.

-sudorazione

-mancanza di respiro

-svenimento

-nausea e vomito

 

Come prevenire la cardiopatia ischemica?

La prevenzione è l’arma più importante contro la cardiopatia ischemica. Si basa su uno stile di vita salutare, lo stesso che deve essere seguito da chi è stato colpito da problemi cardiaci. Prima di tutto è necessario evitare il fumo e seguire una dieta povera di grassi e ricca di frutta, verdura e cereali integrali. Bisognerebbe limitare o minimizzare le occasioni di stress psicofisico e privilegiare un’attività fisica aerobica regolare. Vanno poi corretti, ove possibile, tutti i fattori di rischio cardiovascolare.

Diagnosi

La diagnosi di cardiopatia ischemica richiede esami strumentali che includono:

-elettrocardiogramma (ECG): registra l’attività elettrica del cuore e consente di individuare la presenza di anomalie suggestive per ischemia miocardica. L’Holter è il monitoraggio prolungato nelle 24 ore dell’ECG: nel caso di sospetta angina consente di registrare l’elettrocardiogramma nella vita di tutti i giorni e soprattutto in quei contesti in cui il paziente riferisce di avere la sintomatologia.

-il test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma mentre il paziente compie un esercizio fisico, generalmente camminando su un tapis roulant o pedalando su una cyclette. Il test viene condotto secondo protocolli predefiniti, volti a valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico. Viene interrotto alla comparsa di sintomi, alterazioni ECG o pressione elevata o una volta raggiunta l’attività massimale per quel paziente in assenza di segni e sintomi indicativi di ischemia.

-scintigrafia miocardica: è una metodica utilizzata per valutare l’ischemia da sforzo in pazienti il cui solo elettrocardiogramma non sarebbe adeguatamente interpretabile. Anche in questo caso Il paziente può eseguire l’esame con cyclette o tapis roulant. Al monitoraggio elettrocardiografico viene affiancata la somministrazione endovenosa di un tracciante radioattivo che si localizza nel tessuto cardiaco se l’afflusso di sangue al cuore è regolare. Il tracciante radioattivo emana un segnale che può essere rilevato da un’apposita apparecchiatura, la Gamma-camera. Somministrando il radiotracciante in condizioni di riposo e all’apice dell’attività si valuta l’eventuale comparsa di mancanza di segnale in quest’ultima condizione, segno che il paziente manifesta un’ischemia da sforzo. L’esame consente non solo di diagnosticare la presenza di ischemia ma anche di fornire un’informazione più accurata sulla sua sede e sull’estensione. Lo stesso esame può essere effettuato producendo l’ipotetica ischemia con un farmaco ad hoc e non con l’esercizio fisico vero e proprio.

-ecocardiogramma: è un test di immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio dispensa un fascio di ultrasuoni al torace, attraverso una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Le immagini in tempo reale possono essere raccolte anche durante l’esecuzione di un test da sforzo, fornendo in quel caso informazioni preziose sulla capacità del cuore di contrarsi correttamente in corso di attività fisica. Analogamente alla scintigrafia anche l’ecocardiogramma può essere registrato dopo aver somministrato al paziente un farmaco che può scatenare un’eventuale ischemia (ECO-stress), permettendone la diagnosi e la valutazione di estensione e sede.

-coronografia o angiografia coronarica: è l’esame che consente di visualizzare le coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale sono rispettate tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati.

-TAC cuore o tomografia computerizzata (TC): è un esame diagnostico per immagini atto a  valutare la presenza di calcificazioni dovute a placche aterosclerotiche nei vasi coronarici, indicatore indiretto di un rischio elevato di patologia coronarica maggiore. Con gli apparecchi attuali, somministrando anche mezzo di contrasto per via endovenosa, e’ possibile ricostruire il lume coronarico e ottenere informazioni su eventuali restringimenti critici.

-risonanza Magnetica Nucleare (RMN): produce immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni attraverso la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte ad un intenso campo magnetico. Permette di valutare la morfologia delle strutture del cuore, la funzione cardiaca ed eventuali alterazioni del movimento di parete secondarie a ischemia indotta farmacologicamente (RMN cardiaca da stress).

 

Trattamenti

Il trattamento della cardiopatia ischemica è finalizzato a ripristinare il flusso di sangue diretto al muscolo cardiaco. Ciò si può ottenere con farmaci specifici oppure con un intervento di rivascolarizzazione coronarica.

Il trattamento farmacologico deve essere proposto dal cardiologo in collaborazione con il medico curante e può prevedere, a seconda del profilo di rischio del paziente o della gravità dei segni clinici:

-nitrati (nitroglicerina): è una categoria di farmaci adoperata per favorire la vasodilatazione delle coronarie, permettendo così un aumento del flusso di sangue verso il cuore.

-aspirina: studi scientifici hanno appurato che l’aspirina riduce la probabilità di infarto. L’azione antiaggregante di questo farmaco previene infatti la formazione di trombi. La stessa azione viene svolta anche da altri farmaci antipiastrinici (ticlopidina, clopidogrel, prasugrel e ticagrelor), che possono essere somministrati in alternativa o in associazione all’aspirina stessa, secondo le diverse condizioni cliniche.

-beta-bloccanti: rallentano il battito cardiaco e abbassano la pressione sanguigna contribuendo in questo modo a ridurre il lavoro del cuore e quindi anche del suo fabbisogno di ossigeno.

-atatine: farmaci per il controllo del colesterolo che ne limitano la produzione e l’accumulo sulle pareti delle arterie, rallentando lo sviluppo o la progressione dell’aterosclerosi.

-calcio-antagonisti: hanno un’azione di vasodilatazione sulle coronarie che consente di aumentare il flusso di sangue verso il cuore.

In presenza di alcune forme di cardiopatia ischemica può rendersi necessaria la soluzione interventistica, che include diverse opzioni:

-angioplastica coronarica percutanea, un intervento che prevede l’inserimento nel lume della coronaria, in corso di angiografia, di un piccolo pallone solitamente associato ad una struttura metallica a maglie (stent), che viene gonfiato ed espanso in corrispondenza del restringimento dell’arteria. Questa procedura migliora il flusso di sangue a valle, riducendo o eliminando i sintomi e l’ischemia.

-bypass coronarico, un intervento chirurgico che prevede il confezionamento di condotti vascolari (di origine venosa o arteriosa) in grado di “bypassare” il punto di restringimento delle coronarie, facendo pertanto comunicare direttamente la porzione a monte con quella a valle della stenosi. L’intervento viene effettuato con diverse tecniche operatorie, con il paziente in anestesia generale e in molte circostanze con il supporto della circolazione extra-corporea.

 

Cardioversione elettrica esterna

Cardioversione elettrica esterna

 

Che cos’è la cardioversione elettrica esterna?

La cardioversione elettrica esterna è una procedura con cui si possono interrompere aritmie cardiache effettuando una sorta di “reset” dell’impianto elettrico del cuore. Si può eseguire come procedura programmata o in fase di urgenza/emergenza.

 

Funzionamento della cardioversione elettrica esterna

La cardioversione elettrica può essere eseguita sia in elezione (procedura programmata) sia in urgenza/emergenza per trattare aritmie mal tollerate dal paziente dal punto di vista emodinamico e che possono determinare riduzioni della performance cardiaca, condizione che può portare a ipotensione, mancanza di fiato, angina pectoris o sincope.

Lo shock elettrico sincronizzato può essere erogato attraverso la parete toracica mediante delle piastre collegate a un defibrillatore esterno; queste piastre possono essere manuali (posizionate dall’operatore al momento dell’esecuzione) o adesive e in genere sono posizionate a livello del torace e della schiena.

 

Come avviene la procedura?

Si effettua in sedazione profonda (ovvero il paziente viene addormentato, ma mantiene funzioni vitali autonome, per cui non è richiesto supporto ventilatorio meccanico). Al paziente si eroga una scossa elettrica che attraversa il cuore attivandone tutte le cellule simultaneamente e causando nella quasi totalità dei casi un arresto dell’aritmia e il ripristino del normale ritmo sinusale.

La procedura si effettua sempre in ambito ospedaliero nelle sale attrezzate di elettrofisiologia, sotto il controllo di un’equipe costituita da un cardiologo, un anestesista e un infermiere. Prima, durante e dopo l’erogazione dello shock vengono controllati tutti i parametri vitali.

Se l’origine dell’aritmia è superiore alle 72 ore o ignota, l’esecuzione della procedura è subordinata all’esito di un ecocardiogramma transesofageo, effettuato allo scopo di escludere l’eventuale presenza di trombi all’interno delle cavità cardiache (sembra che il rischio di questa evenienza sia aumentato in tutti i pazienti soggetti a aritmie cardiache).

Una volta terminata la procedura e ripristinato il normale ritmo cardiaco, il paziente continua ad essere monitorizzato per alcune ore per poter valutare la stabilità del ritmo. La procedura comporta il ricovero ospedaliero e una notte di degenza.

 

La cardioversione elettrica esterna è dolorosa o pericolosa?

In genere la procedura è molto ben tollerata poiché viene effettuata in sedazione profonda.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

Possono essere sottoposti a cardioversione elettrica tutti i pazienti affetti da aritmie cardiache che si sono generate di recente, non databili, ma al primo episodio o per le quali sia stata esclusa la strategia ablativa.

 

Follow-up

Le successive valutazioni cliniche e strategie terapeutiche vengono pianificate caso per caso.

 

 

Carne salada, fumada e salmistrata

Carne salada, fumada e salmistrata

 

Che cos’è carne salada, fumada e salmistrata?

Carne salada, fumada e salmistrata sono tre varianti di un medesimo prodotto alimentare a base di carne – in genere di manzo, ma anche cavallo, maiale o capra – tipico del Trentino Alto Adige. La carne viene conservata tramite salagione o salamoia secca, utilizzando nella sua preparazione anche vino ed aromi. A causa di tale suo particolare processo di lavorazione la carne salada e salmistrata viene considerata di fatto come un salume. In alcuni casi il metodo di conservazione scelto è invece un’affumicatura abbinata alla salamoia ed il prodotto finale – che si ottiene dopo almeno 30 giorni di stagionatura – è detto carne fumada.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

Le proprietà nutrizionali della carne salada, fumada o salmistrata dipendono da vari fattori; nello specifico dalla carne, dal sale e dagli aromi utilizzati.

100 gr. di carne salada a base di manzo preparata con sale grosso, pepe, aglio, erbe aromatiche e bacche di ginepro apportano per esempio 130 calorie circa e:

1,3 g di grassi, fra cui:

0,638 g di acidi grassi saturi

0,564g di acidi grassi monoinsaturi

0,047 g di acidi grassi polinsaturi

53 mg di colesterolo

1.873 mg di sodio

195 mg di potassio

20,87 g di proteine

1,85 g di carboidrati

1,64 g di zuccheri

 

Quando non mangiarla?

Non risultano esservi interazioni specifiche tra il consumo di carne salada, fumada o salmistrata e l’assunzione di medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è sempre opportuno chiedere consigli al proprio medico.

 

Reperibilità della carne salada, salmistrata e fumada

Questa tipologia di carne è sempre reperibile.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Gli alimenti di origine animale sono un’ottima fonte di proteine di elevata qualità. Di solito il problema associato al loro impiego è la dose di grassi saturi e di colesterolo che portano unitamente alle proteine e agli altri nutrienti presenti al loro interno. Nel caso della carne salada, fumada e salmistrata tale fattore negativo è contenuto grazie dalla rimozione del grasso visibile prima della lavorazione della carne. Tuttavia, talee tipo di carne resta una fonte di alte dosi di colesterolo. Inoltre si tratta di un alimento ad elevato contenuto di sodio, il cui apporto non dovrebbe superare i 2 grammi al giorno.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Carpa

Carpa

 

Che cos’è la carpa?

Dal nome scientifico Cyprinus carpio, è un pesce che appartiene alla famiglia delle Cyprinidae. Si tratta di una specie originaria dell’Oriente, già presente in Italia dall’epoca romana.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali della carpa?

100 gr. di carpa cotta apportano circa 162 calorie ripartite come segue:

40% lipidi

60% proteine

In particolare, in 100 gr. di carpa sono presenti circa:

1,9 mg di zinco

1,6 mg di ferro

0,06 mg di rame

0,06 mg di manganese

16,2 µg di selenio

2,1 mg di niacina

1,6 mg di vitamina C

0,882 mg di acido pantotenico

0,235 mg di piridossina

0,12 mg di tiamina

0,06 mg di riboflavina

22,9 g di proteine

7,2 g di lipidi, di cui: 1,8 g di grassi polinsaturi (di cui 900 mg di omega 3 e 663 mg di omega 6), 84,11 mg di colesterolo, 1,4 g di grassi saturi e 3 g di grassi monoinsaturi,

32 UI di vitamina A

1,47 µg di vitamina B12

531 mg di fosforo

427 mg di potassio

63 mg di sodio

52 mg di calcio

38 mg di magnesio

 

Quando non mangiare la carpa?

Non risultano esservi condizioni accertate in cui il consumo di carpa potrebbe interagire con medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è sempre consigliabile chiedere consiglio al proprio medico.

 

Periodo di reperibilità della carpa

In determinate regioni la pesca a tale pesce è bandita in alcuni periodi dell’anno. In particolare, il Piemonte la vieta dall’1 al 30 giugno, la Lombardia dal 15 maggio al 30 giugno.

 

Possibili benefici della carpa

Questo pesce è un’ottima fonte di proteine di qualità, di acidi grassi omega 3 (che sono grandi alleati della salute cardiovascolare) e di fosforo (benefico per la salute di ossa e denti e importante anche per il cuore, i reni e i muscoli nonché per il buon funzionamento del metabolismo e per la trasmissione dell’impulso nervoso). E’ altresì una buona fonte di vitamina B12 – coinvolta nel metabolismo dei grassi, nel funzionamento del sistema nervoso e nella sintesi degli acidi nucleici e dell’emoglobina nonchè di selenio, che riveste grande importanza per le difese antiossidanti dell’organismo.

 

Possibili controindicazioni della carpa

Si tratta purtroppo di un alimento piuttosto ricco di colesterolo, la cui assunzione non dovrebbe mai superare i 300 mg al giorno (nel caso degli adulti in buono stato di salute) e i 200 mg al giorno (per chi presenta problemi cardiovascolari nella sintesi degli acidi nucleici e dell’emoglobina).

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Carrube-carruba

Carrube-carruba

 

Che cosa sono le carrube?

Sono i frutti della Ceratonia siliqua, specie facente parte della famiglia delle Leguminosae originaria della Siria e della Palestina e oggi tipica anche dell’area mediterranea. Sia le silique che i semi sono commestibili.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali delle carrube?

100 g di carrube (parte edibile) apportano 207 calorie ripartite nel seguente modo:

6% proteine

3% lipidi

91% carboidrati

 

In particolare, 100 g di farina di carrube apportano circa 222 calorie, così diitribuite:

3,7 g di acqua

4,8 g di proteine

0,7 g di lipidi, di cui:

0,2 g di grassi monoinsaturi

0,2 g di grassi polinsaturi (fra cui circa 4 mg di omega 3 e circa 210 mg di omega 6)

0,1 g di grassi saturi

49 g di zuccheri

40 g di fibra

 

Fra le vitamine e i minerali, 100 gr di farina di carrube apportano circa:

0,9 mg di zinco

0,6 mg di rame

0,5 mg di manganese

5,3 g di selenio

0,2 mg di vitamina C

0,1 mg di tiamina

14 UI di vitamina A

29 g di folati

827 mg di potassio

347 mg di calcio

79 mg di fosforo

54 mg di magnesio

35 mg di sodio

2,9 mg di ferro

12 mg di colina

1,9 mg di niacina

0,6 mg di vitamina E

0,5 mg di riboflavina

0,4 mg di vitamina B6

 

Le carrube sono anche una buona fonte di tannini (ad esempio di acido gallico).

 

Quando non mangiare le carrube?

Sembra che possano aumentare l’effetto delle statine e di altri medicinali per combattere il colesterolo. In caso di diabete potrebbe alterare il livello dell’insulina. Nel dubbio è bene consultarsi col proprio medico.

 

Stagionalità delle carrube

Si raccolgono in estate.

 

Possibili benefici e controindicazioni delle carrube

Tali frutti sono considerati un buon sostituto della polvere di cacao: ricche di fibre, ma con pochi grassi; come il cacao sono una fonte di antiossidanti, ma non apportano caffeina.

Le loro proprietà nutrizionali potrebbero inoltre farne un buon alleato contro dolore, influenza, tosse, osteoporosi, allergie e virus. La carruba viene però utilizzata soprattutto per combattere i problemi gastrointestinali (in particolare la diarrea); sembra altresì che possa aiutare ad abbassare il colesterolo e a proteggere la salute di gola e corde vocali. Infine, la sembra essere un prezioso alleato delle diete dimagranti perché è in grado di inibire alcuni enzimi digestivi e di indurre un senso di sazietà.

 

Disclaimer

Le seguenti informazioni rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Casimiroa

Casimiroa

 

Che cos’è la casimiroa?

Nota anche come sapote bianco, è il frutto della Casimiroa edulis, pianta facente parte della famiglia delle Rutaceae. Si tratta di un albero originario delle regioni centrali del Messico; oggi viene coltivato nelle zone del mondo a clima subtropicale. I suoi frutti presentano una forma tondeggiante e sono avvolti da una sottile buccia verde-giallastra. La polpa – di color bianco-crema – ha un sapore molto simile a quello della pesca, con sfumature che variano in base alla varietà cui appartiene la pianta. Può essere mangiata da sola, essere aggiunta a delle insalate o essere utilizzata per preparare marmellate, gelati o frappè.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

Per ogni grammo edibile di frutto, essa apporta 1,2 calorie e:

0,303 mg di acido ascorbico

0,005 mg di niacina

0,004 mg di tiamina

0,0004 mg di riboflavina

0,204 mg di fosforo

0,099 mg di calcio

0,0033 mg di ferro

0,0005 mg di beta-carotene

0,15 g di carboidrati

3,0 g di lipidi

0,009 g di fibre

 

Quando non mangiare la casimiroa?

Non risultano esservi interazioni accertate tra l’impiego alimentare di casimiroa e l’assunzione di medicinali o altre sostanze. Nel dubbio è bene chiedere consiglio al proprio medico.

 

Stagionalità della casimiroa

Alcune sue varietà producono frutti durante tutto l’anno, ma nella maggior parte dei casi la maturazione avviene in ottobre o in febbraio, a seconda della zona in cui viene coltivata.

 

Possibili benefici e controindicazioni

In Messico e nell’America Centrale si reputa che il suo consumo possa contribuire ad alleviare i dolori associati all’artrite e ai reumatismi. Pare altresì che mangiare questo frutto possa indurre sonnolenza; i suoi semi provocherebbero difatti un vero e proprio effetto narcotizzante. Nel passato tale effetto è stato attribuito a una molecola, la casimirina, che secondo studi successivamente effettuati non sarebbe presente nei semi casimiroa. Gli stessi studi hanno messo in dubbio le complessive asserite proprietà ipnotiche dei semi di casimiroa.

Sono state loro attribuite anche proprietà ipotensive; schiacciati ed arrostiti

aiuterebbero la guarigione delle ferite infette. Si rammenta il fatto che non devono essere mangiati: sono tossici, specialmente se assunti crudi.

Infine, in Costa Rica le foglie di casimiroa sono utilizzate per la preparazione di decotti antidiabetici.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Caviglia rigida

Caviglia rigida

 

La caviglia è un’articolazione molto complessa e delicata formata da tre ossa “a cerniera” – perone e tibia che si articolano con l’astragalo – collegate dai tendini e inframmezzate dalla cartilagine. Lesioni, microtraumi, infiammazioni dei tendini, distorsioni, esiti di interventi chirurgici, fratture, un’immobilizzazione errata o prolungata nel tempo, la degenerazione dei tessuti, l’artrosi e le tendinosi possono determinare problemi nella funzionalità dell’articolazione. In particolare il danno del tendine d’Achille provoca rigidità o debolezza con o senza dolore e determina difficoltà nei movimenti.

 

Che cos’è la caviglia rigida?

La caviglia è simile a una cerniera che consente di muovere il piede in due direzioni principali: in estensione dalla gamba (flessione plantare) o verso la gamba (flessione dorsale) consentendo di camminare, correre, saltare. La caviglia non permette la rotazione ma soltanto movimenti di flessione ed estensione. In alcune condizioni le strutture che compongono l’articolazione possono alterarsi, deteriorarsi o subire una degenerazione che determina difficoltà nel compiere movimenti un tempo considerati normali.

 

Quali sono le cause della caviglia rigida?

La più frequente causa di rigidità della caviglia è la tendinosi, che colpisce il tendine d’Achille. La tendinosi è una degenerazione del tendine; quest’ultimo perde le sue normali caratteristiche elastiche e diventa rigido, fibroso, ispessito, e in alcuni casi subisce delle calcificazioni.

La tendinosi può a sua volta essere causata da un’attività sportiva che sovraccarica l’articolazione. Alcuni sport, ad esempio il pattinaggio o il calcio, determinano una flessione costante della caviglia che la espone a sovraccarichi funzionali, traumi e infiammazione cronica.

Altre cause della caviglia rigida sono:

– la postura o l’uso di scarpe non appropriate possono determinare una sovraestensione dell’Achilleo che alla lunga comporta una degenerazione delle fibre che lo compongono

– piede piatto, retropiede valgo e alcune anomalie nella struttura nel piede possono favorire il processo infiammatorio

– malattie dismetaboliche e farmaci determinano l’alterazione della composizione del normale tessuto tendineo o favoriscono il processo di fibrosi tendinea che fa perdere elasticità all’articolazione

– patologie degenerative quali artrite reumatoide, artrite reattiva, gotta, spondilite anchilosante e artrite psoriasica

 

Quali sono i sintomi della caviglia rigida?

I sintomi della caviglia rigida includono dolore accompagnato talvolta gonfiore e arrossamento dell’area soggetta a infiammazione. I sintomi possono manifestarsi a riposo o più frequentemente durante il movimento. Altri sintomi sono la debolezza dell’arto e il dolore generato dall’appoggiare il piede, ruotarlo o camminare.

 

Come prevenire la caviglia rigida?

Per prevenire la caviglia rigida si devono sempre utilizzare calzature adeguate al tipo di attività svolta, sia che si cammini sia che si faccia sport.

Occorre evitare di sovraccaricare l’articolazione con sforzi intensi o movimenti ripetuti, è necessario sottoporre l’articolazione a stretching dolce prima dell’attività sportiva e sottoporsi tempestivamente a controlli ortopedici quando si lamentano problemi durante il movimento.

Un’alimentazione equilibrata ricca di vitamine, Omega-3 e minerali, povera di alcol e di cibi di origine animale contribuisce a mantenere in salute tutte le articolazioni.

Cavoli e Verza

Cavoli e Verza

 

Che cosa sono?

Sono delle verdure che appartengono alla famiglia delle Brassicaeae. Scientificamente sono noti come Brassica oleracea var. capitata.

 

Quali sono le proprietà nutrizionali?

100 gr. di cavoli o verza apportano circa 25 calorie e:

1,28 g di proteine

92,18 g di acqua

3,20 g di zuccheri

2,5 g di fibre

0,10 g di lipidi, fra cui:

0,034 g di grassi saturi

0,017 g di grassi monoinsaturi

0,017 g di grassi polinsaturi

98 UI di vitamina A

36,6 mg di vitamina C

0,234 mg di niacina

0,212 mg di acido pantotenico

0,15 mg di vitamina E

76 mg di vitamina K

43 mg di folati

170 mg di potassio

40 mg di calcio

26 mg di fosforo

18 mg di sodio

12 mg di magnesio

0,47 mg di ferro

0,18 mg di zinco

0,160 mg di manganese

0,124 mg di vitamina B6

0,061 mg tiamina

0,040 mg di riboflavina

 

Sono una fonte di alfa- e beta-carotene, isotiocianati, indolo-3-carbinolo, luteina/zeaxantina e tiocianati.

 

Quando non mangiarli?

Il consumo di cavoli e verza potrebbe interferire con l’assunzione di anticoagulanti. In caso di dubbi è bene consultarsi con il proprio medico.

 

Periodo reperibilità/stagionalità

I cavoli sono presenti sul mercato italiano durante tutto l’anno.

 

Possibili benefici e controindicazioni

Il consumo di cavoli e verza può contribuire a proteggere la salute cardiovascolare; il merito è sia dell’apporto di vitamina K (importante per la coagulazione) che del loro contenuto in potassio nonché di molecole che aiutano a combattere l’aterosclerosi. Fra queste ultime sono inclusi diversi antiossidanti, che esercitano anche una funzione protettiva nei confronti della pelle (vitamina A, C ed E), della vista (in particolare i carotenoidi) e contro l’insorgenza dei tumori. Selenio e manganese sono altresì importanti cofattori di enzimi facenti parte delle difese antiossidanti interne all’organismo. Cavoli e verza sono anche fonti di vitamine B, che sono importanti per garantirsi un buon metabolismo. Infine, questi ortaggi aiutano a proteggere la salute delle ossa grazie al loro apporto di magnesio, calcio e fluoro e apportano ferro che è fondamentale per la produzione dei globuli rossi.

Questi due ortaggi sono fonti di goitrogeni pericolosi per chi soffre di disturbi alla tiroide.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

Cellulite orbitaria

Cellulite orbitaria

 

La cellulite orbitaria è una infiammazione con conseguente infezione della regione orbitale e periorbitaria che compromette l’area anteriore del setto orbitario (cellulite presettale). In alcune casi può interessare anche le strutture posteriori del setto. E’ più frequente nei bambini ma può insorgere a qualsiasi età.

 

Che cos’è la cellulite orbitaria?

La cellulite orbitaria inizialmente si presenta sotto forma di una neoformazione calda e dolorosa che si propaga rapidamente in un lasso di 5-10 giorni. La sua diffusione può essere causa un difetto pupillare (midriasi), dell’alterazione della visione e della motilità oculare. Le possibili complicanze sono:

  • Lagoftalmo
  • Entropion
  • Necrosi palpebrale

 

Quali sono le cause della cellulite orbitaria?

Si presenta, nella maggior parte delle volte, come una diretta complicazione di una sinusite, specialmente se si tratta di sinusite etmoidale. È quindi strettamente legata alla presenza di microorganismi quali S. pneumoniae, S. aureus, S. piogene e H. influenza.

 

Quali sono i sintomi della cellulite orbitaria?

La cellulite orbitaria determina i seguenti sintomi a danno della capacità visiva:

  • peggioramento della vista e del movimento oculare

A livello oculare si possono individuare:

  • edema delle palpebre
  • palpebre infiammate e calde
  • rigonfiamento della congiuntiva a seguito di un accumulo di liquidi (chemosi congiuntivale)
  • rigonfiamento del bulbo oculare verso l’esterno (esoftalmo irriducibile)
  • dolori all’occhio (dolori orbitari e periorbitari)

In alcuni casi:

  • febbre
  • nausea
  • vomito
  • debolezza generale
  • nei casi più gravi, reazione meningea, delirio, coma

 

Diagnosi

Per la diagnosi si procede ad una visita medica seguita da TAC delle orbite e dei seni.

 

Trattamenti

La terapia per la cura della cellulite orbitaria consiste in una somministrazione di sistemica di antibiotici ad ampio spettro d’azione. Fondamentale il supporto del medico nell’individuare il dosaggio adeguato e nell’agire il più rapidamente possibile.

 

Prevenzione

Un’adeguata terapia della sinusite e di fondamentale importanza per la prevenzione della cellulite orbitaria.

Cervicite

Cervicite

 

La cervicite è l’infiammazione della cervice uterina, o collo dell’utero, la porzione inferiore dell’utero, localizzata in fondo al canale vaginale.

 

Che cos’è la cervicite?

Spesso la cervicite è il risultato di un’infezione a trasmissione sessuale dovuta ad agenti patogeni come clamidia o gonorrea (la quale crea generalmente una cervicite muco-purulenta). Ma diverse possono essere le cause alla base di questa infezione. In alcuni casi la cervicite è asintomatica; in altri casi le donne che ne soffrono possono notare sanguinamenti intermestruali e cambiamenti nelle perdite vaginali.

 

Quali sono le cause della cervicite?

Diverse sono le cause alla base della cervicite, per lo più sovrapponibili a quelle che provocano la vaginite. Tra le più frequenti troviamo:

le infezioni sessualmente trasmesse da batteri e protozoi (tra cui gonorrea, clamidia, tricomoniasi) e virus (herpes genitale);

reazioni allergiche: l’allergia agli spermicidi o al lattice dei preservativi;

proliferazione batterica: una crescita eccessiva di alcuni batteri normalmente presenti nella vagina (condizione nota come “vaginosi batterica”) può portare all’infezione della cervice.

 

Quali sono i sintomi della cervicite?

Spesso la cervicite è asintomatica. Quando, invece, sono presenti sintomi, quelli più frequentemente riportati dalle pazienti sono:

  • cambiamento di colore, odore e/o quantità di secrezioni vaginali
  • prurito e/o bruciori
  • dolori durante i rapporti sessuali
  • sanguinamenti intermestruali e/o in seguito a rapporti sessuali

 

Come prevenire la cervicite?

I trattamenti e gli accorgimenti per la prevenzione della cervicite sono vari:

  • dopo aver utilizzato la toilette, è buona regola pulirsi dal davanti verso il dietro, e non il contrario: in questo modo si evita la diffusione di batteri presenti nelle feci in vagina e all’ingresso del collo dell’utero;
  • utilizzare il preservativo durante i rapporti sessuali aiuta a evitare le malattie sessualmente trasmesse, potenzialmente responsabili di cerviciti.

 

Diagnosi

La diagnosi deve essere fatta da un medico specialistico, il quale potrà avvalersi di:

  • esame obiettivo ginecologico durante il quale verrà effettuata una palpazione degli organi pelvici e un’osservazione visiva della cervice;
  • prelievo di fluido cervicale da far analizzare;
  • esame delle urine, per escludere infezioni delle vie urinarie.

 

Trattamenti

Molte infezioni alla cervice regrediscono spontaneamente. Quando, tuttavia, il medico ravvisi l’esigenza di sottoporre la paziente a trattamento, le opzioni disponibili variano in base al tipo di cervicite:

in caso di infezione batterica il trattamento prescritto sarà a base di antibiotici somministrati per via vaginale, orale o intramuscolare (nel caso per esempio dell’infezione gonococcica);

se la causa è virale, come nel caso dell’herpes genitale, il trattamento si baserà sulla somministrazione di farmaci antivirali per uso locale o sistemico;

nel caso di infezioni sessuali, per evitare di trasmetterle al proprio partner, è raccomandata l’astinenza dai rapporti sessuali fino a quando l’infezione non risulta regredita.

Cheratocongiuntivite secca (Sindrome di Sjogren)

Cheratocongiuntivite secca (Sindrome di Sjogren)

 

La cheratocongiuntivite secca ha i sintomi tipici dell’occhio secco (bruciore e scarsa lacrimazione), ma ha una causa specifica differente, e cioè nel danno alle ghiandole lacrimali tipiche della Sindrome di Sjogren. La Sindrome di Sjogren, malattia autoimmune, è una malattia infiammatoria cronica. Insorge più di frequente nelle donne in età compresa fra i 40 e i 60 anni.

Si associa solitamente a secchezza della fauci (xeroftalmia e xerostomia).

 

Che cos’è la cheratocongiuntivite secca?

Due sono le forme di cheratocongiuntivite secca, primaria e secondaria.

Quando compare isolatamente è detta Sindrome di Sjogren primaria, quando compare associata ad una malattia del collagene, una connettivite come l’artrite reumatoide è detta Sindrome di Sjogren secondaria.

 

Quali sono le cause della cheratocongiuntivite secca?

La causa della cheratocongiuntivite secca è dovuta ad un processo autoimmune delle ghiandole lacrimali.

 

Quali sono i sintomi della cheratocongiuntivite secca?

I sintomi sono:

  • Secchezza oculare
  • Prurito
  • Sensazione di un corpo estraneo
  • Arrossamento
  • Bruciore e dolore
  • Fotofobia

 

Nelle forme sistemiche, quelle che coinvolgono tutte le ghiandole esocrine, si associa a secchezza di tutte le mucose corporee: orale, vaginale, tracheale, bronchiale, esofagea e gastrica.

 

Diagnosi

Per diagnosticare questa malattia è richiesta una visita medica. Gli esami a cui sottoporsi sono:

  • But (break-up time)
  • Test di Schirmer

 

La componente sistemica è da indagare con una ricerca di autoanticorpi (antinucleo, anti antigeni nucleari, anticellule duttali, REUMATEST). Occorre anche una valutazione reumatologica.

 

Trattamenti

La terapia impiega sostituti lacrimali: lacrime artificiali dense e gel o pomata lubrificante e riepitelizzante da applicare alla sera.

Sono anche consigliati farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) o Steroidi di superficie nei casi con maggiore sintomatologia.

Nei casi più gravi, come accade per l’occhio secco, può essere indicata l’occlusione del puntino lacrimale inferiore con un piccolo tappo di collagene o di silicone (punctum plug) e talvolta l’uso di lenti a contatto terapeutiche a protezione corneale.

In tutti i casi è consigliata la somministrazione di integratori a base di vitamina E di Omega 3.

Cheratocono

Cheratocono

 

Il cheratocono è una malattia degenerativa a seguito di una inferiore rigidità strutturale della cornea. Si manifesta solitamente nell’infanzia o nella pubertà e progredisce in buona parte dei casi fino ai 35-40 anni. In alcuni soggetti può progredire anche oltre tale età. Associazioni con altre malattie sono frequenti, ad esempio con l’atopia (predisposizione ereditaria alle malattie allergiche), l’amaurosi congenita di Leber, le distrofie corneali, il trisomia 21 (mongolismo), la malattia della tiroide, la malattia del collagene (lassità dei legamenti articolari), ecc.

 

Che cos’è il cheratocono?

Consiste in un graduale indebolimento del tessuto che si assottiglia e si estroflette all’apice assumendo una forma a cono. Anche se spesso in misura diversa, in genere colpisce entrambi gli occhi. Si stima che ne sia affetta 1 persona ogni 1500, stima che raddoppia nei casi di alterazioni riconducibili al cheratocono. La comparsa e l’evoluzione della malattia sono molto variabili. Nei casi più progrediti, quando l’assottigliamento grave del tessuto corneale comporta un imminente rischio di perforazione, si interviene con il trapianto di cornea.

 

Quali sono le cause del cheratocono?

Le cause del cheratocono non sono conosciute, ma alcuni studi sperimentali hanno portato ad supporre che alla sua base ci siano cause genetiche che ne influenzano l’insorgenza e fattori esterni come allergie o microtraumi da sfregamento che ne condizionano il progresso. L’aumento di alcuni enzimi specifici, fra cui le proteasi e una diminuzione dei loro inibitori, determina instabilità e alcune cellule della cornea, nello specifico i cheratociti, deputati al costante rinnovamento del tessuto, lavorano in modo irregolare, con la conseguente riduzione dello spessore della cornea e conseguente degenerazione e deformità.

 

Quali sono i sintomi del cheratocono?

La capacità visiva con il progredire della malattia diviene progressivamente più sfuocata e nonostante l’utilizzo di occhiali, è scarsamente migliorabile. Il deficit visivo è fortemente invalidante negli stadi più avanzati della malattia e difficilmente correggibile tramite l’ausilio di lenti a contatto.

 

Diagnosi

Per contrastare e fermare il cheratocono prima che raggiunga stadi di sviluppo preoccupanti è necessaria una diagnosi tempestiva.

Per la diagnosi di cheratocono sono disponibili vari esami che permettono di individuare la malattia con largo anticipo rispetto alla comparsa dei sintomi:

  • la tomografia corneale, che studia curvatura, elevazione e spessore della cornea a più livelli e grazie allo studio degli indici topometrici e tomografici (Belin-Ambrosio) permette di rivelare anche le forme più lievi di ectasia corneale e documentarne l’avanzamento.
  • La topografia corneale che permette di avere una mappa di curvatura e una mappa altitudinale della superficie anteriore della cornea
  • La pachimetria che misura lo spessore della cornea e, grazie ad una mappatura atta ad evidenziare lo spessore corneale in ogni suo punto, di individuare e determinare il punto più sottile.

 

Esami diagnostici che misurino la resistenza corneale alla deformazione con soffio di aria possono svelare le forme di più difficili di diagnosi.

 

Trattamenti

La terapia del cheratocono può prevedere:

Cross-Linking corneale, in particolare nelle fasi preliminari, in caso di dimostrata evoluzione della malattia

Rimodellamenti corneali associati a Cross-Linking

Impianto di anelli intrastromali

Cheratoplastica lamellare anteriore profonda (DALK)

Cheratoplastica perforante (PKP)

Un ausilio per aumentare l’acutezza visiva prevede l’utilizzo di occhiali o lenti a contatto e non rappresenta un’opzione terapeutica.

 

Prevenzione

Trattandosi di una malattia ereditaria non è possibile attuare una prevenzione, questo rende indispensabile una diagnosi precoce. Trattare infatti la malattia all’inizio può spesso conservare un’ottima vista a volte senza dover ricorrere a correzione con trattamenti minimamente invasivi. Una diagnosi tardiva può significare il dover ricorrere al trapianto.

 

Vivamente consigliate sono le visite oculistiche durante la fase dello sviluppo a 3, 6 e 12 anni, quando esista familiarità per la malattia (un parente affetto) e quando esistano sintomi quale visione sfuocata scarsamente correggibile con gli occhiali. Tali visite devono però essere effettuate con tutta la diagnostica necessaria, come la topografia corneale e gli altri esami segnalati, per poi procedere ad una diagnosi il più possibile precoce.

 

Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

Chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane

 

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto è una procedura di intervento conservativo alla quale si ricorre quando i difetti dell’articolazione coxofemorale sono particolarmente gravi o, per la loro natura, non possono essere trattati in artroscopia con la stessa probabilità di successo.

Che cos’è la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica alternativa all’artroscopia perché prevede un accesso chirurgico più ampio. È quindi una tecnica più invasiva che, tuttavia, si rende necessaria quando i difetti dell’articolazione coxofemorale hanno una particolare complessità.

Come funziona la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto viene eseguita con diverse tecniche. Generalmente viene creato un accesso chirurgico eseguendo un taglio che preservi il più possibile i muscoli. Successivamente si procede alle manovre ossee che servono a correggere la deformità specifica del paziente, sia essa una displasia, un conflitto o qualunque altra deformità congenita o acquisita. L’intervento viene eseguito cercando di danneggiare il meno possibile i vasi sanguigni che nutrono l’osso.

Quali sono i vantaggi della chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

La chirurgica correttiva a cielo aperto è una tecnica che consente una più ampia capacità correttiva e maggiore precisione, permettendo al chirurgo di visualizzare l’articolazione e di operare con maggiore libertà. Per contro il trattamento è più invasivo dell’artroscopia, determina una maggiore perdita di sangue, una ferita più ampia, un tempo di guarigione e di ritorno al movimento più lungo.

Quali pazienti possono effettuare  la chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane?

Il paziente candidato alla chirurgica a cielo aperto viene attentamente selezionato in base ad alcuni specifici parametri basati sulla gravita e complessità dei difetti all’articolazione.

La chirurgia correttiva dell’anca a cielo aperto nel giovane è dolorosa o pericolosa?

L’intervento chirurgico a cielo aperto viene eseguito in anestesia generale. Il post-operatorio può essere doloroso e quindi viene impostata una adeguata terapia analgesica importante atta a rendere il dolore controllato e del tutto tollerabile dal paziente. I rischi legati all’intervento chirurgico includono: infezioni, trombosi venosa profonda, emorragia, osteonecrosi (ischemia del tessuto osseo), danni vascolari e neurologici e rischi collegati all’anestesia.

Sono previste norme di preparazione?

È importante continuare a mantenere un’attività fisica costante compatibilmente con il dolore. Circa un mese prima dell’intervento vengono eseguiti tutti gli accertamenti preliminari. In assenza di controindicazioni si procede con il predeposito del sangue, vale a dire con il prelievo in diversi momenti del sangue del paziente per riutilizzarlo al momento dell’operazione.

Una settimana prima dell’intervento viene chiesto di sospendere alcuni farmaci che impediscono la normale coagulazione del sangue, ad esempio l’aspirina.  In vista dell’operazione, è necessario munirsi di vestiti comodi, ad esempio una tuta, calzature con la suola di gomma a tacco basso e stampelle. Il giorno dell’intervento bisogna essere a digiuno dalla mezzanotte precedente. Dopo l’intervento sono necessarie calze elastiche antitrombo.

Follow up

È necessario seguire la profilassi antitrombotica con eparina nei 30-40 giorni successivi l’intervento. Prima dell’intervento il paziente viene istruito sugli esercizi per il recupero articolare e muscolare che verranno riproposti durante la fase di riabilitazione e che in un secondo momento il paziente potrà eseguire da solo a casa.

La rimozione dei punti viene solitamente eseguita dopo due settimane. Al paziente viene indicata la data del primo controllo e successivamente dovrà eseguire una radiografia e una visita ortopedica ogni 1 o 2 anni per verificare la funzionalità dell’articolazione e l’integrità della protesi.

 

Chirurgia del prolasso genitale

Chirurgia del prolasso genitale

 

Lo standard di cura del prolasso genitale è il trattamento chirurgico per via vaginale.  L’intervento per via addominale per la cura della recidiva del prolasso genitale si effettua quando la prima chirurgia ha rimosso il viscere uterino,e consiste nel posizionamento di una rete (promontosacropessia). Negli anni ‘90 si è diffusa la procedura per via laparoscopica che incrementa i tempi operatori ma ha i vantaggi della chirurgia mini-invasiva. Evitare la laparotomia in pazienti nelle quali viene posizionata una rete permanente riduce significativamente l’incidenza di infezioni peritoneali ed elimina il rischio del laparocele (ernia dell’addome dovuta al taglio). La promontosacropessia prevede l’ancoraggio di una rete alla vagina (parete posteriore, cupola vaginale e parete anteriore) ed il successivo fissaggio al promontorio sacrale.

I giorni di degenza sono ridotti (tre in media) e l’intervento con il robot permette una ridotta invasività anestesica per la paziente.

Chirurgia protesica dell’anca

Chirurgia protesica dell’anca

 

La chirurgia protesica dell’anca permette di intervenire nei casi più avanzati di degenerazione dell’articolazione per i quali sono controindicati o non hanno avuto successo i trattamenti conservativi.

Che cos’è la chirurgia protesica dell’anca?

L’intervento di protesi totale d’anca consiste nella sostituzione completa dell’articolazione utilizzando delle protesi in metallo. Attualmente le protesi maggiormente utilizzate sono costruite in lega di titanio, ma possono anche venire cementate all’osso protesi di differenti leghe metalliche.

Il “cuore” della protesi, cioè lo snodo sottoposto al movimento (e quindi all’usura) non è in titanio e può essere composto da diversi materiali: leghe di cromo-cobalto, ceramica, oppure accoppiamenti di questi materiali con il polietilene.

Ad oggi tutte le protesi sono modulari, cioè formate da parti distinte che vengono assemblate al momento per adattarsi meglio all’anatomia del singolo paziente ed evitano, qualora ve ne fosse la necessità, di sostituire tutto l’impianto. In particolare nell’impiantare la protesi in un paziente giovane si mira a evitare l’utilizzo del cemento e si cerca di preservare il più possibile il tessuto osseo, preferendo protesi “a incastro” appositamente progettate.

Un’alternativa alla sostituzione totale consiste nel rivestimento della testa del femore con la protesi senza asportarla. Tale soluzione è però indicata solo in una stretta minoranza di casi.

Nel giovane si pone molta attenzione al posizionamento di protesi di piccole dimensioni, al maniacale approccio nel posizionamento delle componenti per garantire la perfetta riproduzione dei parametri biologici articolari, a ridurre i tempi di usura dell’impianto, e alla scelta di materiali che permettano lunga durata.

Come funziona la chirurgia protesica dell’anca?

Prima dell’intervento viene eseguita e valutata una radiografia per programmare la fase preoperatoria. In questo momento il chirurgo sceglie la protesi.

L’intervento viene praticato in genere in anestesia peridurale, ma in relazione al caso è facoltà dell’anestesista la scelta della soluzione migliore. La tecnica chirurgica si avvale anche dell’approccio mini-invasivo con tagli cutanei piccoli, riducendo al massimo l’impatto sui muscoli.

La via di accesso all’anca è la postero-laterale che ha il vantaggio di risparmiare gli abduttori dell’anca (muscoli piccolo e medio gluteo), ma in alcuni casi particolari il chirurgo si avvale di altre vie di accesso.

L’intervento è seguito da una breve degenza in ospedale (in media 15 giorni): durante i primi due giorni di riposo a letto in posizione supina con cuscino divaricatore fra le gambe vengono eseguiti esercizi di mobilizzazione passiva e attiva. In caso di necessità il paziente può stare in posizione eretta più precocemente (un giorno). È importante nella fase postoperatoria un relativo “isolamento” del paziente per evitare infezioni.

Quali sono i vantaggi della chirurgia protesica dell’anca?

L’impianto di una protesi d’anca è considerata un’alternativa a cui ricorrere quando non sono possibili i trattamenti conservativi o quando questi ultimi non hanno avuto successo. L’affermarsi di materiali tecnologicamente sempre più avanzati e procedure chirurgiche innovative hanno considerevolmente migliorato i risultati di questo tipo di intervento, i cui punti deboli restano il rischio di rottura o di lussazione della protesi, la permanenza della cicatrice.

Quali pazienti possono effettuare la chirurgia protesica dell’anca?

Il paziente candidato alla chirurgica protesica viene attentamente selezionato in base ad alcuni specifici parametri: entità del fenomeno degenerativo, età, impatto sulla qualità della vita, condizioni di salute.

Le protesi di rivestimento della testa femorale vengono preferite in pazienti giovani, specie se di sesso maschile, non affetti da allergie e in assenza di necrosi della testa femorale o deformità articolari (morbo di Perthes, epifisiolisi, esiti traumatici dell’anca, conflitto femoro-acetabolare, displasia dell’anca, difetti di antiversione dell’acetabolo o di torsione del collo femorale).

Nel caso di trattamenti chirurgici con tecnica mini-invasiva il paziente selezionato non deve essere in sovrappeso, non deve avere masse muscolari non eccessivamente sviluppate, non deve aver avuto episodi recenti di trombosi venosa profonda, non deve avere scompensi cardiocircolatori.

La chirurgia protesica dell’anca è dolorosa o pericolosa?

L’intervento viene praticato normalmente in anestesia epidurale. Il paziente non avverte dolore durante l’intervento. Fatta eccezione per le prime fasi del decorso postoperatorio in cui la ferita chirurgica unita agli effetti dell’anestesia può procurare dolore e malessere al paziente, il dolore tende a scomparire già nei primi giorni. La permanenza del dolore all’anca è un’ipotesi rara.

I rischi legati all’intervento chirurgico includono: infezioni, trombosi venosa profonda, emorragia, osteonecrosi, danni vascolari e neurologici, i rischi collegati all’anestesia.

Con l’utilizzo delle tecniche mini-invasive si esegue sempre il posizionamento di una protesi completa di tipo tradizionale riducendo al minimo il trauma chirurgico, con una minor durata del ricovero e tempi di recupero più rapidi.

Sono previste norme di preparazione?

È importante, prima dell’intervento, continuare a svolgere un’attività fisica costante compatibile con il dolore. Circa un mese prima dell’intervento vengono eseguiti tutti gli accertamenti preliminari. In alcuni casi selezionati dall’anestesista si procede con il predeposito del sangue, vale a dire con il prelievo in diversi momenti del sangue del paziente per riutilizzarlo durante l’operazione.

Una settimana prima dell’intervento viene chiesto di sospendere alcuni farmaci che impediscono la normale coagulazione del sangue come l’aspirina. In vista dell’operazione è necessario munirsi di vestiti comodi, ad esempio una tuta, calzature con la suola di gomma e tacco basso, e di stampelle.

Il giorno dell’intervento bisogna essere a digiuno dalla mezzanotte precedente.

Dopo l’intervento sono necessarie calze elastiche antitrombo.

Follow up

È necessario seguire la profilassi antitrombotica con Eparina per 30-40 giorni dopo l’intervento.

Prima dell’intervento il paziente viene istruito sugli esercizi per il recupero articolare e muscolare che verranno riproposti durante la fase di riabilitazione e che in un secondo momento il paziente potrà eseguire da solo anche a casa.

La rimozione dei punti viene solitamente eseguita dopo due settimane. Al paziente viene indicata la data del primo controllo e successivamente dovrà eseguire una radiografia e una visita ortopedica ogni 1 o 2 anni per verificare la funzionalità dell’articolazione e l’integrità della protesi.

 

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

 

La chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri è una tecnica chirurgica sicura ed efficace grazie alla quale si possono correggere i difetti di vista (miopia, astigmatismo, ipermetropia) applicando il trattamento sulla superficie corneale. La capacità del laser di rimuovere parti microscopiche con estrema precisione viene sfruttata per “rimodellare” la curvatura corneale, così facendo è possibile eliminare o ridurre difetti comuni della vista come miopia, ipermetropia e astigmatismo eliminando la necessità di indossare a vita occhiali e lenti a contatto.

 

Il laser ad eccimeri può correggere i difetti visivi mediante la vaporizzazione a freddo del tessuto corneale in modo mirato.  Questo può avvenire in superficie con vari metodi: PRK, LASEK, epiLASIK e ASA che si differenziano l’una dall’altra solo per la preparazione preliminare all’azione del laser, o in profondità dopo avere tagliato e sollevato uno strato superficiale di cornea. L’applicazione del laser a eccimeri che segue è identica per i due trattamenti.

Il fronte avanzato di questa chirurgia sono i trattamenti customizzati, cioè un rimodellamento della cornea mediante laser ad eccimeri che tiene conto delle caratteristiche individuali e spesso consente una visione migliore rispetto ai trattamenti standardizzati.

 

Che cos’è la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il laser a eccimeri permette di rimuovere parti microscopiche del tessuto della cornea modificando la forma della zona più importante per la messa a fuoco (zona ottica) e migliorando anche il profilo della cornea periferica circostante. Grazie all’energia creata dal laser si produce una “evaporazione” del tessuto bersaglio senza danneggiare i tessuti circostanti. Il tessuto viene asportato con una precisione straordinaria, impossibile per la mano umana, nell’ordine del micron (millesimo di millimetro) per ogni colpo emesso e con una riproducibilità non raggiungibile a tutt’oggi da nessun altro mezzo.

 

Come funziona la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il giorno dell’intervento il medico specializzato eseguirà un controllo del vostro stato di salute ed eseguirà un ulteriore controllo di sicurezza dei dati della vostra cartella clinica.  Questi controlli fanno parte della filosofia di Humanitas che tutela la vostra sicurezza verificando più volte, mediante “check list” dedicate, i vostri dati clinici. Una volta finiti gli accertamenti il nostro personale infermieristico dedicato si prenderà cura di somministravi le terapie indicate dal vostro chirurgo e di fare la preparazione all’intervento.

 

I pazienti possono mangiare e bere normalmente prima del trattamento.

È importante essere  struccate e non profumate (i vapori di alcool infatti possono interferire con il raggio laser) ed evitare profumi e dopobarba alcolici.

È senz’altro consigliabile presentarsi con un accompagnatore tenendo in considerazione che dopo il trattamento non è consigliabile la guida; la lacrimazione unita all’insofferenza alla luce la renderebbe pericolosa.

È inoltre importante riportare tutti gli esami preliminari eseguiti in precedenza.

Normalmente l’intervento viene eseguito per entrambi gli occhi nella stessa seduta operatoria.  In casi particolari il chirurgo può decidere di eseguire gli interventi separatamente in due sedute diverse.

 

Tutte le tecniche vengono abitualmente eseguite in ambulatorio, con anestesia topica (gocce).

È importante sospendere l’utilizzo delle lenti a contatto per almeno 7 giorni prima della visita per riportare le caratteristiche oculari nel modo più inalterato possibile.

Prima dell’intervento è preferibile sospendere le lenti a contatto per almeno 4 giorni.

 

Quali sono i vantaggi della chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Dopo oltre 20 anni di esperienza l’incidenza di complicanze legate all’intervento è estremamente bassa. La chirurgia refrattiva è un trattamento estremamente preciso e oggi può essere considerata una tecnica efficace e sicura, perché l’intervento elimina o riduce marcatamente i difetti di vista nella maggior parte dei pazienti.

 

Questi risultati si ottengono se gli interventi sono eseguiti da chirurghi ben preparati ed in centri altamente specializzati. È fondamentale che l’equipe sia formata da professionisti esperti che eseguano un’approfondita valutazione e selezione del paziente e sappiano escludere i pazienti non idonei all’intervento, selezionando solo i casi in qui si può attendere un buon risultato.

Va rilevato che ogni atto di chirurgia refrattiva quale che sia la tecnica adoperata, si rivolge alla risoluzione dei soli difetti di refrazione ma non modifica quelle patologie che possono essere associate al difetto di vista. Ad esempio un miope con alterazioni retiniche che compromettono parte della sua funzionalità visiva non può sperare di vedere risolto questo problema da un intervento chirurgico a scopo refrattivo né l’intervento può costituire un trattamento preventivo per eventuali, possibili, successive complicanze retiniche.

 

Guarda il video in cui il Dott. Paolo Vincigurra, responsabile di Humanitas Centro Oculistico, spiega la chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri.

Chirurgia robotica ginecologica

Chirurgia robotica ginecologica

 

La chirurgia robotica rappresenta la nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva. Il robot Da Vinci, uno dei robot chirurgici più diffusi al mondo, conferisce al gesto chirurgico una precisione non ottenibile con altre tecniche; si possono superare i limiti legati alla difficoltà di trattare con la laparoscopia patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere estendendo ad interventi complessi – con la stessa qualità ed efficacia della chirurgia tradizionale – i benefici della mini-invasività: nessuna cicatrice estesa sull’addome, ridotto tempo operatorio, minor anestesia e ripresa più rapida.

L’evoluzione della chirurgia laparoscopica è un robot che, oltre ad offrire i vantaggi della chirurgia mini-invasiva, è supportato da una strumentazione che permette di superare i limiti degli strumenti offerti dalla chirurgia laparoscopica stessa. Il robot utilizzato in Humanitas è tra le versioni più evolute, con quattro bracci e visione tridimensionale ad alta definizione.

L’intervento con il robot evita il taglio sull’addome anche per interventi ginecologici oncologici.

 

La chirurgia robotica può essere applicata nei seguenti casi:

-Anastomosi (chirurgia delle tube o salpingi)

-Miomectomia

-Interventi per tumori all’utero

-Promontosacropessia

-Endometriosi

 

Caratteristiche e vantaggi della chirurgia robotica

 

Il robot da Vinci è un sistema integrato costituito da due parti:

-Console chirurgica: la console chirurgica è il centro di controllo del robot in sala operatoria. Il chirurgo è seduto alla console e, attraverso dei manipoli che compiono movimenti a 360 gradi, comanda gli strumenti chirurgici. Attraverso il visore il chirurgo vede, in visione tridimensionale, tutto ciò che la telecamera inquadra.

-Carrello chirurgico: è  il vero e proprio robot ed è localizzato al tavolo operatorio.

 

I bracci del robot montano gli strumenti chirurgici e al tavolo operatorio sono presenti gli assistenti che coadiuvano le fasi dell’intervento.

 

Aspetti tecnico-operativi

 

Gli strumenti robotici vengono introdotti nell’addome attraverso cannule da 8 mm (trocars), fissati tramite sicure ai bracci del carrello chirurgico. Gli strumenti, in continua evoluzione, sono estremamente versatili nei loro movimenti: la loro articolazione permette sette movimenti sul proprio asse, con angolature di 90° che, in casi particolari, agevolano il raggiungimento di spazi anatomici ristretti e profondi.

 

Vantaggi generali della chirurgia robotica

 

Tutti gli interventi che possono essere eseguiti con la tecnica laparoscopica possono essere eseguiti con l’ausilio del robot, evitando così il taglio sull’addome e rispettando l’integrità corporea della donna. Con la chirurgia robotica si sono ridotti i tempi operatori (ridotta anestesia e minore stress fisico per la paziente).

L’utilizzo del robot risulta particolarmente vantaggioso nella chirurgia pelvica, quindi in ginecologia (endometriosi setto retto-vaginale, intestinale) e nella chirurgia di pazienti obese, dove l’ingombro intestinale restringe il campo di azione.

La visione tridimensionale del robot aiuta il chirurgo a visualizzare meglio nervi, vasi ed alcune strutture legamentose.

Chitosano

Chitosano

 

Che cos’è il chitosano?

Si tratta di un carboidrato, un polisaccaride ricavato a cominciare dall’esoscheletro (lo scheletro esterno) dei crostacei, nello specifico del granchio, dei gamberetti e dell’astice.

 

A cosa serve il chitosano?

Il chitosano può collaborare a minimizzare l’assorbimento del colesterolo e dei grassi esistenti nei cibi. Si consiglia contro il colesterolo elevato, l’obesità e la patologia di Crohn e per curare le complicanze della dialisi (compresa l’ipercolesterolemia). Si consiglia anche in forma di gomme da masticare per prevenire la carie.

L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha avvallato l’indicazione secondo cui il chitosano collabora alla conservazione dei livelli di colesterolo nel sangue nella norma. Questo claim si può usare solamente in presenza di prodotti che danno un apporto giornaliero di 3 grammi di chitosano. Inoltre deve essere accompagnato dall’informazione secondo cui si possono trarre effetti benefici possono con l’assunzione quotidiana di 3 grammi di chitosano.

Altri claim, tipo quello secondo cui il chitosano potrebbe collaborare a mantenere controllato il peso o a dimagrire facendo diminuire la quantità di grassi assorbiti dal cibo, o quello secondo cui avrebbe un effetto lassativo senza irritare l’intestino, non sono invece stati autorizzati dall’Efsa per la carenza di abbastanza prove scientifiche per legittimarli.

 

Avvertenze ed eventuali controindicazioni

L’assunzione di integratori a base di chitosano può disturbare l’assunzione dell’anticoagulante warfarin. In presenza di dubbi è meglio farsi consigliare dal proprio dottore.

Gli integratori a base di chitosano da prendere per bocca vengono ritenuti sicuri anche se presi per sei settimane consecutive, però non ci sono informazioni riguardo la loro sicurezza se presi in gravidanza. Inoltre durante la terapia possono apparire degli effetti collaterali, nello specifico leggeri disturbi allo stomaco, costipazione o meteorismo.

Si è ipotizzato che il chitosano possa provocare reazioni allergiche in soggetti che allergici ai crostacei, anche se l’allergia a questi cibi dipende da proteine esistenti nella carne e non nell’esoscheletro da cui viene prelevato questo polisaccaride.

 

Disclaimer

Le informazioni riportate sono solo indicazioni generali e non soppiantano in nessuna maniera l’opinione del dottore. Per assicurarsi un’alimentazione sana e bilanciata è sempre meglio fare affidamento sui consigli del proprio medico curante o di un esperto nutrizionista.